neva nascosta dall’ombrello dei boschi una delle più grosse polveriere del suo esercito) e che ogni anno ci restituiscono la visita, cominciando a venire alla processione del primo sabato di maggio, quando la Madonna delle Grazie viene portata in processione da San Rocco alla Collegiata di San Giovanni, e rimangono a tuffarsi nel nostro mare per tutta la stagione del sole; gli amici di Traunreut, si diceva, rappresentano con noi la realtà della libertà e della pace conquistate col sangue.
Torniamo all’insurrezione dei nettunesi. Sulle barricate aveva preso posto il più popolare calciatore dell’epoca: Silvio Piola, centravanti della Lazio dal 1934. Anche lui portava le stellette. Ormai trentenne, era stato richiamato alle armi e assegnato, come artigliere, alla caserma Macao di Roma. Aveva tuttavia trovato il tempo per un salto ad Anzio e Nettuno, dove era abituato a dar sfogo alla sua passione per la pesca e la caccia. Piola ha lasciato tra i nettunesi l’esempio d’un buon italiano che si mischiò a loro per combattere.
“Con Piola – è stato ricordato da Mario Trippa – andammo a bordo d’un camioncino alla caserma Piave, dove caricammo armi e viveri che distribuimmo a tutti, e poi ci appostammo con gli altri al forte Sangallo, e riuscimmo a bloccare un torpedone con i tedeschi”.
Raggiunto telefonicamente, dal giornalista sportivo de Il Messaggero Francesco Rossi (quando si stava ancora lavorando per il libro Quei giorni a Nettuno), grazie alla collaborazione del cugino Franco Dominici, inviato speciale del Corriere dello Sport-Stadio, Silvio Piola confermò la sua partecipazione alla resistenza dei nettunesi e parlò soprattutto del loro coraggio, raccomandando: “Non fatemi passare per un eroe”. Con Mario Trippa e Silvio Piola c’erano anche Costantino Cestarelli, Lorenzo Lucci, Giuseppe Bruzzi, Umberto Mastrogirolamo, Giuseppe Roveri, Angelo Simone, Marcello Simeoni, Paolo Rossetti, Oscar Del Frate, Amleto C. Gianni L. Ezio T. Umberto A., Amilcare Della Bella e la coraggiosissima levatrice di Nettuno, la «sora» Bianca Bellanti in Amoretti che, con la fascia della Croce Rossa al braccio, soccorreva i feriti e sottrasse gli uomini alle retate e alle deportazioni dei tedeschi, come mariti delle gestanti che non videro mai mai. Si trattava pur sempre della resistenza improvvisata d’un paese isolato e inerme, rispetto a una potenza che si era messa l’Europa sotto il tallone. Dopo aver mostrato di ritirarsi e andarsene verso Campoleone, i tedeschi ritornarono in maggior numero. Vi fu anche un’incursione di stukas che sganciarono le bombe si viale Mencacci, le cannonate non risparmiarono i tetti di Nettuno, soprattutto venne deviata ad Anzio e quindi a villa Borghese e piazza Mazzini una parte della divisione corazzata H. Goring, che si stava dirigendo a Cassino.
(L’elenco dei caduti di quei giorni, non termina con la resa del 12 settembre: il 13 settembre fu ucciso il soldato Carmine Sorano; il 15 i soldati Michele Renzi e Felice Puddu; il 19 il soldato Salvatore Carorria; il 5 ottobre il soldato Pietro Sellani, il marinaio Angelo Asgrò e un giovane di 18 anni Andrea Rinaldi).
Il 10 e l’11 ottobre fu mandato a Nettuno un drappello delle SS tedesche perché il focolaio di ribellione nei confronti dei tedeschi non si era ancora spento. Raccontò Antonio Centi che uno di quei giorni vide Federico Cappelli in piazza Mazzini, zoppo da una gamba e con il bastone, mentre stava attraversando la strada fu avvicinato da due soldati tedeschi di guardia e armati. I soldati gli dissero qualcosa in tedesco, lui borbottò poi fece alcuni passi e quando arrivò al centro della strada impugno il bastone e lo lancio verso i due soldati gridandogli: “Andatevene al paese vostro a comandare!”
(Il giorno 10 ottobre, Giovani Usicco, un appaltatore che abitava in via del Cavone, fu trovato con tre fucili moschetto avvolti in una coperta. Fu arrestato e portato al comando dove lo fecero sostare nel piazzaletto controllato da un soldato, un altro militare entrò e uscì dopo qualche minuto, quindi disse ad Usicco di inginocchiarsi e di guardare verso il mare, dopodiché gli sparò alla nuca un colpo di pistola. Lo stesso giorno venne ucciso Antonio Picchioni con una bomba a mano che gli lanciò un tedesco mentre scendeva i gradoni di via Duca d’Abruzzo, poi diventata via dei Martiri dei Nazifascisti e attualmente via della Resistenza Nettunese. Ferito ad una gamba e rimasto zoppo Italo Artibani; Edda, che era una dei sette figli di Italo, raccontò che i tedeschi spararono al padre perché quando c’era stato l’armistizio si era spogliato dai vestiti del fascio. E per vendetta gli hanno sparato. E Antonio Picchioni, che era il compare del padre, l’ha portato con un carretto all’ospedale, quando poi è ritornato hanno arrestato lui e tante altre persone portandoli al comando. Però Antonio era scappato e quindi gli hanno sparato. “E comunque – continuò Edda Artibani - erano stati traditi proprio dai loro amici. Il giorno successivo l’11 ottobre venne uccisa Luciana Cocci di vent’anni, da un ufficiale che comandava il drappello delle SS sulla salita di via S. Barbara. La giovane era stava avvicinata da un uomo il quale, alla vista dei tedeschi era fuggito nell’oliveto di Brovelli. Interrogata su chi fosse il giovane rispose che non lo conosceva. Non soddisfatti della risposta esplosero contro di lei un colpo di pistola trucidandola, dopo averla colpita allo stomaco e alla nuca con il calcio di un fucile. Il 12 ottobre fu ucciso il soldato Amando Civitenca; il 18 ottobre, Muzio Favella e Ulisse Terenzi che era stato trovato in campagna con le pinze in mano ad aggiustare il recinto delle vacche e preso dai tedeschi per un sabotatore (era stato spezzato il cavo di un telefono da campo a pochi metri da lui), venne caricato di peso su una motocarrozzetta e portato al comando. Lo lasciarono di fuori per pochi minuti consegnandolo ai colleghi del corpo di guardia; appena il tempo per un sergente e quattro soldati, di entrare e uscire. Poi lo ripresero per trascinarlo al muro, gli fecero voltare la testa, e il sergente lo uccise con tre colpi di pistola, alla presenza delle donne che stavano facendo la fila per il permesso di circolazione. Il 19 ottobre furono uccisi Ulderico Cassaresi, Faustino De Petri, Pasquale Di Marco e Giuseppe Di Salvo).
Poi arrivarono gli ordini di sfollamento e nemmeno la veneratissima Madonna delle Grazie, patrona di Nettuno, poté evitare l’esilio. Il 5 novembre, due frati Vincenzo e Gabriele trasferirono furtivamente la Madonna nell’unico treno che continuava a unire Nettuno a Roma. Lo stesso frate Gabriele e don Angelo Mariola la depositarono il giorno successivo 6 dicembre, nell’oratorio della Scala Santa in Laterano, da dove venne in seguito affidata alla basilica dei SS. Giovanni e Paolo al Celio, e qui esposta al culto”.
Riprendiamo il racconto leggendo il diario pubblicato dalla parrocchia del S. Cuore:
“24 settembre – In serata un ordine emanato dalle autorità tedesche e dal Comando di Pubblica Sicurezza, intima in 24 ore lo sfollamento di Nettunia, comandando alla popolazione civile di portarsi a 5 chilometri dalla costa; 29 settembre – Si vivono ore di angoscia e di trepidazione. La popolazione soffre immensi disagi; 2 ottobre – Dal comando tedesco viene emanato un nuovo ordine in cui si ordina il totale sfollamento di Nettunia; 4 ottobre – Festa del padre San Francesco. Nella situazione in cui ci troviamo cerchiamo di celebrare il più devotamente possibile. Supplichiamo S. Francesco che ci dia forza e rassegnazione nella tribolazione e di tutto sopportare per amor di Dio; 6 ottobre – Incomincia il nostro apostolato in campagna presso gli sfollati. Ogni mattina dopo la celebrazione delle SS. Messe il P. Curato si interessa per un’adeguata assistenza religiosa alla popolazione; 22 ottobre – Viviamo giorni di spavento e di angoscia. I soldati tedeschi portano via tutto e rapinano la popolazione di qualsiasi cosa. Per parte nostra noi abbiamo perso per opera loro: una bicicletta, un paio di scarponi nuovi e un bel maiale. Pazienza!
Qui vi è perfetta letizia; 20 novembre – Il tempo passa veloce e non vedendo ancora alcun indizio di poter tornare a Nettunia e considerando che molti bambini, anzi tutti i bambini, si trovano senza assistenza immediata e crescono senza educazione, la Parrocchia del S. Cuore pensa di poter erigere una “scuola elementare” per tutti i fanciulli della località “Quartaccio”, che trovandosi al centro dei vari luoghi in cui sono gli sfollati potrebbe accogliere tutti senza grandi difficoltà di viaggio. Ci mettiamo subito in opera infatti troviamo una baracca che funzionerà da chiesa e da scuola; 30 novembre – Termina il mese trovandoci in piena attività di opera di religione e di civiltà, anche in mezzo alla guerra. E la scuola - affidata a tre maestre diplomate – inizierà la sua attività l’8 dicembre, festa dell’Immacolata, e sarà frequentata da così tanti fanciulli e fanciulle da richiedere presto una baracca più grande, che otteniamo grazie all’aiuto di Don Steno Borghese. Il principe Stefano Borghese, detto Steno, fu quindi tra i benefattori. Quando tutto si sfasciò, da lui venne almeno l’idea d’un governo giusto che non c’era. Da anni, pareva che la carica di sindaco (il podestà, per il fascismo che lo nominava d’autorità) fosse stata abolita a Nettuno. Si andò avanti per parecchio col commissario prefettizio. C’era già stato nel 1935; e lo si ritrova sette anni dopo nella persona di Ignazio De Matteis, il quale si era ritirato a Roma. Ebbe però il merito di delegare il principe Borghese a rappresentarlo in loco. Nella disgrazia, fu una fortuna. Magrolino, pochi capelli in testa, un uccellino di fronte ai falchi del comando tedesco, don Steno seppe invece farsi rispettare. La sua fermezza consenti di salvare il salvabile”.
Silvano Casaldi