800.000 morti in tutto il mondo erano sicuramente portatori di HIV, epatite o sifilide perché erano in massima parte omosessuali. La terra è piatta, i vaccini fanno male…
Il coltellino di Occam forse non è ben affilato, non ha li ‘ntelletti sani, non è capace di formulare giudizi stringenti, ma sa affondare nella carne, nel tessuto sociale, nello stato di diritto e in consuetudini che credevamo radicate. Yuri Gagarin è stato il primo uomo che ha visto il pianeta dall’alto ma la forma di questa immensa distesa verde-azzurra gli è stata insufflata dalla nomenklatura (coltellino), esattamente come il povero Armstrong ha fatto fare all’umanità un “balzo da gigante” sulla passerella di un teatro di posa (potenza della NSA e della CIA, alleate per fregare l’umanità credulona: coltellino).
L’ironia manzoniana
Chissà quanti miei coetanei (70 anni e più) hanno considerato un’afflizione i temi dal titolo l’Ironia manzoniana perché non vedevano proprio che ci fosse da ridere in tante pagine che hanno afflitto generazioni di liceali. A costo di farmi ulteriori nemici, vi dirò che io all’ironia manzoniana ci credo davvero, che la lettura di certi passaggi de I promessi sposi mi faceva ridere da solo, nel salotto di casa, almeno quanto la lettura di Tre uomini in barca.
E in questi tempi di pandemia, c’è un personaggio di Manzoni che non può non tornare alla memoria: Don Ferrante, insulso “scienziato” più esoterico che naturalista, cultore di astrologia e filosofia antica, convinto che l’epidemia sia dovuta alla congiunzione tra Giove e Saturno. Forte di queste sue conoscenze “scientifiche” Don Ferrante non prende nessuna precauzione contro la peste. E questa “gli s’attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle”.
Lascio a voi fare i paralleli del caso.
Sul concetto di LIBERTÀ /5
di Lia Bronzi
La democrazia è il sistema politico più difficile;
essa esige la più alta coscienza morale.
Rimettendo al popolo il governo di sé, gli rimette anche il diritto di prescriversi i doveri e i sacrifici necessari. Ma perché un popolo si prescriva doveri e sacrifici quando è padrone di evitarli, è necessario che esso sia maturo intellettualmente e moralmente. Il democratico Rousseau affermava: «Se ci fosse un popolo di dei si governerebbe democraticamente. Un governo tanto perfetto non conviene agli uomini». E se si dà uno sguardo alla carta geopolitica del mondo contemporaneo, si è tentati talvolta di condividere il pessimismo rousseauiano.
Ma è proprio vero che la democrazia e la libertà non si addicono all’uomo?
Se noi siamo convinti che l’uomo è nato libero, che egli sente come insopprimibile l’esigenza di libertà, che egli tende naturalmente alla libertà, una convinzione del genere non potrebbe che apparirci un’aberrazione.
In Italia, quali libertà?
Ora, se dovessi indicare alcune libertà da difendere, oggi in Italia, con più forza e passione, farei riferimento alle seguenti: in primo luogo, la libertà politica, premessa fondamentale di tutte le altre libertà, individuali e collettive, e condizione per la partecipazione democratica del popolo sovrano alla vita pubblica; in secondo luogo, la libertà d’informazione, che sola può garantire quell’autonomia del giudizio indispensabile per l’autonomia della scelta, e che è messa sempre più in pericolo dalla progressiva monopolizzazione dei mezzi d’informazione di massa; in terzo luogo, la libertà dal bisogno, premessa di quella giustizia sostanziale che dovrebbe essere il fine più elevato di una moderna società civile e condizione perché la libertà non sia una parola vuota e non suoni privilegio per gli uni e irrisione per altri; infine la libertà dello Stato, contro interferenze di ogni tipo che tuttora possono permanere (a causa di classi dirigenti troppo spesso deboli e incapaci), soprattutto da parte di un Vaticano che talvolta non sembra ben consapevole che lo Stato italiano non può e non deve essere il braccio secolare di chicchessia, specie allorquando entrino in gioco diritti e libertà individuali, sia che siano propri di una minoranza sia che, come è avvenuto di recente, siano convinzione addirittura largamente maggioritaria.
Libertà come passione della libertà.
È necessaria questa passione perché questi fini si possano veramente raggiungere e che non si esaurisca in un atto formale di sovranità popolare, ma si eserciti continuamente, in ogni campo dell’attività umana.
Potremmo ripetere quanto Ruggero Bonghi scriveva nel 1867: «Noi non siamo contenti del Governo, né delle Assemblee, ed abbiamo ragione. Ma il Governo e le Assemblee hanno ragione d’essere contenti di ciascun cittadino? Ciascun cittadino di essere contento di sé?». In effetti, il Governo e il Parlamento hanno indubbiamente una gran parte nella prosperità dei paesi liberi, ma non l’hanno tutta, spettandone una grandissima al complesso della cittadinanza.
C’è bisogno di una rigenerazione morale per tutti.
Perché in questa rigenerazione è il germe di ogni altro bene, il seme di ogni operosità intellettuale, di ogni prosperità economica, il fondamento su cui possiamo sperare di edificare Parlamenti e Governi in grado di soddisfarci. Ora, questa rigenerazione morale non possiamo aspettarla che dalla libertà politica. Scriveva sempre il Bonghi: «Chi crede che, facendo gettito della libertà rimedierebbe prima ai mali del paese, deve credere anche che dando a tracannare oppio a chi dorme, riuscirebbe a svegliarlo. Chi sussurra questo consiglio al paese, consiglia ad Esaù di vendere la sua primogenitura».
Nulla c’insegna meglio a renderci degni della libertà, quanto la libertà stessa. Tale proposizione non verrà ammessa da coloro che si sono spesso serviti del preteso difetto di maturità come di un pretesto per instaurare o mantenere l’oppressione.
La mancanza di maturità per la libertà.
Questa mancanza non può derivare che dal difetto delle forze intellettuali e morali, e non si combatterà questa insufficienza se non aumentando tali forze. Ma per aumentarle è necessario che si esercitino, e perché si esercitino è necessario quello spirito d’iniziativa che solo la libertà fa sorgere.
Continua
Per la I, II, III e IV parte vedi
Il Litorale di metà giugno, agosto, metà settembre 2020
OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi di
tutti gli interessati
Riflessione semiseria
per la DEGUSTAZIONE
offerta da Daniela
all’inizio dell’autunno 2004
di Ettore Malosso
DE GUSTO: il GUSTO, parlare del gusto del gustare...
GUSTO: la parola può essere usata con significazioni diverse:
1. SENSO: uno dei cinque; ha sede nella bocca e permette di percepire e distinguere i sapori.
2. PROPRIETÀ di varie sostanze capaci di dare sensazioni gustative: sapore. Es. - gusto di mela - gusto di fragola - sapore di mare - sapore di sale - sapore di te.
3. GODIMENTO procurato non solo da cibi, bevande ma di qualsiasi natura. Es. - mangiare o bere con gusto - provare gusto a parlare con te che gusto ci trovi a parlare con lui? - Ci ho gusto (espressione malevola in occasione di eventi dolorosi per sé o per altra persona) - prenderci gusto nel ripetere un’azione - non era di suo gusto - bere, ridere, lavorare di gusto.
4. VOGLIA preferenza, desiderio, inclinazione. Es. - di prendere in giro - lavorare di gusto - che gusti barbari! - tutti i gusti sono gusti è questione di gusti.
5. FACOLTÀ di giudicare istintivamente VALORI ESTETICI, od altro: senso di decoro o opportunità di comportamento. Es. - è di mio gusto - una donna di buon gusto nel vestire - agisce sempre con signorilità - arredamento di buon gusto.
6. MANIERA, STILE, insieme dei modi di una certa scuola o di un certo periodo artistico. Es. - il floreale - di gusto barocco , romantico, indefinito.
7. DEGUSTAZIONE: dal tardo latino degustatio - onis.
8. L’azione di gustare, dell’assaporare. Nel caso specifico di questa sera (campo alimentare) significa ASSAGGIARE, quindi è questione di ASSAGGI con i quali si deve evitare di arrivare al disgusto. Anche qui la ad evitare gli estremi.
ROMA CAPITALE D’ITALIA
Fine del potere temporale papale
1ª parte
di Francesco Bonanni
Il 20 settembre del 1870 la città di Roma, dopo una rapida campagna militare condotta dal Regio Esercito Italiano al comando del Generale Raffaele Cadorna, venne unita al Regno d’Italia con funzioni di Capitale provocando così la fine del Potere Temporale dei Papi.
L’inizio del potere temporale
avvenne con il lento ma progressivo indebolimento del controllo bizantino sui territori dell’Italia centrale e la costituzione negli ultimi decenni del VI sec. del Ducato Romano per cui il ruolo del Vescovo di Roma venne ad affiancarsi in un primo tempo a quello del Dux nominato dal Basileus di Bisanzio per poi a sostituirlo completamente. Da IV sec., dopo l’Editto di Tolleranza emanato dall’imperatore Costantino, la Chiesa di Roma divenne proprietaria di immobili e terreni a seguito di numerose donazioni ed oboli dei fedeli. Poiché tali donazioni erano offerte ai santi Pietro e Paolo costituirono il primo nucleo di quello che fu denominato “Patrimonium Sancti Petri”, che nel VI sec. assunse notevoli dimensioni.
A seguito della vittoria di Bisanzio sui Goti, la Diocesi di Roma entrò a far parte dell’Impero Romano, riunificato da Giustiniano, e quindi inclusa nell’Esarcato, con Capitale Ravenna. fino alla metà dell’VIII sec.
A quell’epoca il Vescovo di Roma era giuridicamente un semplice possidente.
L’Esarcato era composto da sette Ducati con a capo di ciascuno un Dux (Duca) o un Magister Militum.
L’ Esarca a Ravenna, il Dux a Roma.
Con l’aggravarsi del pericolo delle invasioni dei Barbari l’Imperatore di Bisanzio si preoccupò di proteggere soprattutto Ravenna trascurando Roma, in effetti abbandonandola a se stessa. Di fatto il Vescovo di Roma dovette assumersi tutte le incombenze relative alla amministrazione e alla gestione del proprio territorio sul quale poi finì per svolgere effettive funzioni di governo, rimanendo al Dux soltanto le specifiche funzioni militari.
Il Papa sostituisce il Dux.
In tale situazione gradualmente finì per acquisire un potere politico che prima non aveva. A ciò contribuirono una serie di fattori tra cui la palese debolezza della Classe Senatoria, stremata dalle Guerre Gotiche e trasferitasi in gran parte a Costantinopoli, nonché la stessa. lontananza dall’Urbe dell’Esarca residente a Ravenna ed infine lo stesso prestigio acquisito da alcuni Vescovi di Roma.
Gregorio I (590-604) tra questi è figura di grande prestigio. Si dedicò alla riorganizzazione delle Attività Ecclesiastiche dell’Urbe e al governo delle proprietà fondiarie che consentivano alla Chiesa il supporto finanziario necessario all’esercizio delle sue funzioni.
Ormai l’acquisita rilevanza politica del Vescovo di Roma è comprovata dal fatto che il Re longobardo Agilulfo, quando concluse la pace con Costantinopoli, pretese che sul relativo documento fosse apposta, oltre che quella dell’esarca Callinico, anche la firma di Gregorio I.
Rappresentanti Imperiali
col tempo si sostituirono ai vari Vescovi di Roma, anche se limitatamente al territorio dell’Urbe e dell’Agro Romano, sia nell’esercizio della Giustizia che in quello della Riscossione delle Imposte.
Il potere di vescovi si rafforza
Con la caduta dell’Esarcato e la conseguente fine del dominio dell’ Impero Bizantino sull’Italia Centro-Settentrionale i Vescovi di Roma acquisirono i pieni poteri sovrani sui territori dell’Italia Centrale