SIMPOSIO
MADRE
In questi giorni, la nostra tradizione religiosa ci ha raccontato la storia di una madre su un asinello, accompagnata da un anziano sposo, alla ricerca di un ricovero perché Lei sta per avere un figlio. È una vergine che è stata eletta per dare alla luce lo Spirito della vita incarnato. Un segno divino, dunque, come poteva esserlo nella preistoria che non conosceva il processo biologico della gravidanza e investiva di significati cosmici la madre partoriente come dispensatrice di vita.
La nascita in sé è un fatto miracoloso e al di là del proprio Credo, il Natale ci ricorda proprio questo.
La storia della madre generatrice è ben più antica di quella della festa che esalta, nel giorno del solstizio, la nascita del sole dopo le tenebre dell’inverno, festa sostituita poi dalla Natività cristiana. Della madre primitiva ci parlano testimonianze di segni simbolici che nel momento della loro interpretazione retrocedono la voce documentata della storia, un’età ove non si riscontrano segni di conquiste (introdotti dai nomadi, popoli cacciatori indoeuropei), ma un’età della madre che si identificava con tutta la natura.
La Mater Matuta, l’antica divinità italica dell’aurora e della nascita, ricorda di una perpetuata devozione che in ogni epoca è stata, ed è tuttora, rivolta a lei. Alla madre che dà la vita.
Giuliana
SUL PRINCIPIO DELLE COSE
Spazio aperto alle riflessioni di tutti
A cura di Adriana Cosma
MAGIA DEL FEMMINILE
In principio era Madre
All’inizio della storia umana, la figura femminile è stata tenuta in grande conto, poiché rappresentava l’emanazione della Grande Dea Madre Terra legata ai territori e alle popolazioni stanziali di economia agricola ove la figura femminile aveva un posto primario nell’organizzazione sociale e religiosa.
Il suo culto è testimoniato in Europa tra il 7000 e il 3500 a.C.. La Grande Dea Madre era il simbolo pregnante del ciclo perenne di nascita-crescita-morte-rinascita simboleggiata da l’Uroboro, il serpente che si morde la coda nel segno della ciclicità (oggi è il segno del DNA che caratterizza il ciclo vitale di ciascuno di noi).
Popoli nomadi cacciatori e guerrieri
Ma è il dio del cielo a prendere il sopravvento, quando verso il 4000 a.C. dalle steppe russe giunsero popoli chiamati indoeuropei. Erano nomadi, cacciatori e grandi guerrieri che colonizzarono in tre ondate questa parte del globo fondando grandi civiltà ancora oggi ben attive. Sono norreni, germanici, scandinavi, vichinghi, ari indiani-persiani - ittiti turchi - celti- russi franchi anglosassoni- greci e romani. Accomunati, secondo teoria storica, dalla lingua e da un sistema tribale di tripartizione dei poteri (Dumezil) .
Con lo stanziamento e l’assimilazione dell’economia agricola delle sottomesse popolazioni indigene, anche le divinità si associano gradualmente alla Grande Dea Madre, la divinità molto potente come la Inanna sumera dea della vita e della morte o la dea Kali moglie di Shiva che lo accompagna nel processo di rinnovamento dell’universo e della guerra; in Grecia, Athena la dea della giustizia e della guerra.
Ma, in seguito, il dominio maschile riaffermerà la sua posizione preminente insieme al proprio pantheon relegando le dee in una posizione subalterna o semplicemente simbolica come personificazione di bellezza o fecondità (vedi Isthart, Iside, Afrodite).
Immagini femminili simboliche e religiose
Nelle diverse culture e aree geografiche la figura femminile assume diverse connotazioni sociali di prestigio, ma rimane circoscritta ad alcune funzioni: para magiche, “la medica” in cui esplica la mansione di guaritrice, religiose (sacerdotesse-sciamane-profetiche) come la Pizia, le Sibille, le Norme che scrivevano il destino umano sulle rune e poi le Parche con la stessa funzione.
I monoteismi
L’affacciarsi dei monoteismi mondiali comincerà a mutare la percezione della funzione femminile. La donna assume due posizioni diverse: da un lato quella descritta da Dante in Beatrice, la donna salvifica; dall’altro la tentatrice identificata con Eva o Lilith la distruttrice, Maddalena la prostituta (poi grandemente riabilitata) e, mentre la donna angelicata conduce sulla via della sapienza, quest’altra, cessando di essere legittima manifestazione dell’istinto di sopravvivenza, diventa incarnazione del male tramite il potere della seduzione.
Da questo momento si sviluppano le visioni femminili più deteriori (già presenti in alcune mitologie) e la donna diviene strega fattucchiera capace di evocare e di usare gli spiriti maligni.
Riabilitazione del sacro femminino
Abbandonando questa distorta visione dell’essere femminile dobbiamo chiarire e ridare una dignità assoluta, perché le donne tutte sono detentrici del potere più grande nell’universo, quello della procreazione di una altro essere umano, unica creatura in grado di farlo. Ma, a prescindere da questa capacità innata, realizzata o meno e foriera di un insieme di propensioni positive che si espandono anche a sua insaputa intorno a lei, la donna ha il potere di influire positivamente sulle vite altrui non solo in modo evidente, ma anche inconsciamente coinvolgendo tutti in atteggiamenti costruttivi e risolutivi d’ogni difficoltà emanando vibrazioni positive che in qualche modo allontanano da noi ogni influsso negativo. Riconoscere questo è riabilitare il concetto di ‘terra madre’ dell’umano essere e sua protettrice. Dalle varie visioni religiose che ciascuno ha (religioni che tutte o quasi hanno nei comportamenti, se non nei testi, rivalutato la posizione femminile che pure stenta quasi ovunque ad affermarsi nei fatti), sia laica che religiosa della vita, è inconcepibile e assurdo voler attribuire un sesso a dio. La presenza costante in tutte le civiltà, nelle mitologie, nelle religioni antiche e moderne, di “una Madre di Dio”, intende di un principio creativo che possiamo ben identificare con il femminile che in qualche modo ha prodotto e ordinato l’intero universo. Nel taoismo, per esempio, è la natura universale ed il suo equilibrio; in Spinoza è la natura naturans, la natura naturante come causa primigenia dell’universo; in Cartesio è la res cogitans, la realtà o natura psichica libera e pensante e la res extensa, quella realtà fisica inconsapevole. Ma altre dimostrazioni, frutto di riflessioni profonde, confermano questo principio della Natura.
ROMA CAPITALE D’ITALIA
Fine del potere temporale papale
7ª parte
di Francesco Bonanni
Per meglio comprendere la portata dello scontro tra l’Imperatore Enrico IV e il Papa Gregorio VII è necessario soffermarci brevemente sulla biografia e sulla presonalità del Pontefice Romano.
Gregorio VII è stato un importante personaggio nella Chiesa Cattolica al punto tale da dare un nome alla sua epoca: l’Epoca Gregoriana.
Nacque a Soana (in Toscana) probabilmente nel 1015 con il nome di Ildebrando in un periodo definito “Saeculum Obscurum” in quanto segnato da una profonda crisi della Chiesa da tempo afflitta sia dalla Simonia che dal Nicolaismo, cioè rispettivamente dalla compravendita delle cariche ecclesiastiche e dal concubinato degli Ecclesiastici.
Come reazione a tale situazione sin dalla fine del X secolo il mondo monastico, sostenuto dalla potente Congregazione Clunicense, diede inizio a numerose richieste di riforma della Chiesa. Il giovane Ildebrando andò a studiare a Roma nell’Abbazia cluniacense di Santa Maria sull’Aventino sotto la guida di Giovanni Graziano, futuro Papa Gregorio VI fervente sostenitore della riforma della Chiesa.
L’educazione che ricevette da Graziano fu più mistica che filosofica, basata soprattutto sugli scritti di Gregorio Magno e non è un caso che sia lui che il suo maestro una volta saliti al Soglio Pontificio assunsero il nome di Gregorio. Svolse l’incarico di Cappellano del Papa Gregorio VI in un periodo piuttosto turbolento fino a quando nel dicembre 1046 l’Imperatore Enrico III di Franconia, nella sua discesa armata in Italia, non depose il Pontefice.
Fu quindi costretto a lasciare Roma e a trasferirsi a Colonia nell’Abbazia di Cluny ove continuò i suoi studi e durante quella permanenza ebbe occasione di entrare in contatto con gli ambienti più vivaci della riforma ecclesiastica.
A Cluny fu notato per il suo rigore e la sua austerità dal Vescovo Brunone di Toul, parente dell’Imperatore che nel 1048 fu eletto Papa col nome di Leone IX da un’Assemlea riunita a Worms, dopo che due altri Papi designati dall’Imperatore, Clemente II e Damaso II, erano morti molto probabilmente assassinati.
Con l’elezione di Leone IX Ildebrando, nominato Suddiacono, ebbe l’incarico di Amministratore delle disastrate Finanze della Santa Sede.
Per le sue doti morali e per le sue capacità intellettuali divenne un autorevole ed ascoltato consigliere sia di Leone IX che dei suoi successori. Ancor prima della sua elezione al Soglio Pontificio fu uno dei più importanti protagonisti della Riforma dell’XI secolo, conosciuta come Riforma Gregoriana, con la quale furono organizzati,sul modello imperiale, i vari Uffici Curiali e riformato il Collegio Cardinalizio non più riservato esclusivamente alle Famiglie Nobiliari Romane. A seguito della morte di Leone IX Ildebrando con una delegazioe romana si recò dall’Imperatore per prendere accordi sulla designazione del nuovo Pontefice, come previsto dal “Privilegium Othonis”. Il Privilegium Othonis era un Atto emanato a Roma il 13 febbraio del 962 dall’Imperatore Ottone I che prevedeva l’obbligatorio consenso imperiale per l’elezione del Pontefice.
Ildebrando riuscì a convincere l’Imperatore Enrico III a designare il Pontefice nella persona di Gebhard dei Conti di Dollnstein-Hirschberg, Vescovo di Eichstatt, che eletto Papa nel 1055 prese il nome di Vittore II. Con tale decisione, malgrado la solita interferenza imperiale, la corrente favorevole alla riforma conservò il suo potere.
Nel 1057 morì Vittore II e, senza il preventivo consenso imperiale, fu eletto Federico dei Duchi di Lorena col nome di Stefano IX per cui Ildebrando si affrettò a raggiungere la Corte Imperiale per assicurargli il tardivo necessario riconoscimento. Ma prima del rientro a Roma di Ildebrando avvenne la prematura morte del Pontfice.
La Nobiltà Romana ne approffittò per eleggere un suo candidato, Giovanni Mincio Vescovo di Velletri, col nome di Benedetto X che però fu subito conside