Negare la presenza di infiltrazioni mafiose nella Capitale giova solo alle mafie
Il mondo di mezzo
La presentazione del libro “l’Assedio”, scritto dallo storico delle mafie Enzo Ciconte, avvenuta il 29 giugno preso la sede dell’Associazione Alternativa Per Anzio, è un altro invito a riflettere sulla nostra società, sulle sue malattie e sulle mille connivenze che vogliono contrastare una sola verità: la presenza delle mafie anche a Roma. Il libro, introdotto da Edoardo Levantini presidente del Coordinamento antimafia Anzio Nettuno, è un’attenta analisi del fenomeno criminale a Roma, fra storia e cronaca, con cui l’autore descrive, in un divenire meticoloso e dettagliato, come la Capitale sia stata “assediata” dall’ingresso dei Bersaglieri a Porta Pia sino ai giorni nostri.
Ripercorre le fasi della Roma Capitale d’Italia e degli scandali che si sono succeduti nella corsa all’oro di una società in rapida e caotica espansione governata da una politica spesso corrotta. Dallo scandalo della Banca Romana alla continua e crescente aggressione da parte di una criminalità allogena attratta dalla grande torta da spartire di una città in forte espansione. Fino ai primi segni della presenza di avanguardie strutturate e colonizzanti con la presenza di personaggi significativi come Franck Coppola che si stabilisce a Tor San Lorenzo, a qualche chilometro da Anzio, e da inizio alla creazione di una ragnatela di connivenze tra criminalità, politica ed strutture dello Stato che arrivano fino ai tempi nostri e ad un dibattito retorico sulla presenza della Mafia nel tessuto sociale di Roma. Mettere in dubbio la presenza delle mafie a Roma significa negare un’evidenza tragica eppure questo è l’oggetto del contendere tra la Magistratura ordinaria, che definisce il merito delle sentenze e la Cassazione a cui è demandato il giudizio finale sulla legittimità delle stesse. Sta di fatto che, a fronte di decine di sentenze emesse dalla Corte d’Assise che invocavano l’applicazione del fatidico 416 bis, una è dei giorni scorsi, corrispondono altrettante sentenze conclusive che, pur ribadendo la loro consistenza, per quanto attiene l’esistenza a dei reati, li hanno però sempre privati dell’aggravante mafiosa. Che non è poca cosa perchè essa implica non solo pene ben più pesanti ma perchè essa permette l’instaurazione di un regime molto più rigido nello stesso modo di considerare i reati e quindi nel predisporre gli strumenti organizzativi per combatterli. La meticolosa ricostruzione di una storia che diventa cronaca, che il libro imbastisce, fornisce una visione convincente di una struttura criminale tutta particolare, un mosaico di mafie, che si è andato via via formando dalla corsa al mattone, ai Casamonica ed agli Spada. L’autore cita fatti e documenti, sentenze ed articoli di giornale indulgendo però in coinvolgimenti politici tutti attribuibili solo a partiti e di destra o organizzazioni eversive nere; dimenticando le connivenze fra criminalità organizzata e Brigate Rosse di cui il caso Cirillo è solo un esempio. Questo proprio mentre la Corte di Cassazione scagiona l’ex sindaco di destra Alemanno non solo dal reato di mafia da ma qualsiasi altra accusa. C’è Mafia a Roma? Sembra una domanda retorica ma non lo è poi tanto se una parte determinante della Magistratura ne nega la presenza.
Certo non si vedono in giro per via Veneto biechi signori con la coppola nera ed una lupara in spalla; ma questi non si vedono nemmeno a Piazza Affari a Milano e nemmeno a Corleone.
Ma se la “mafia è intimidazione e omertà organizzate e finalizzate a commettere delitti per ottenere vantaggi economici” la risposta è nelle pagine della cronaca nera degli ultimi anni e nei resoconti di altri attori di un film criminale come Luca Palamara che fornisce uno spaccato della Magistratura nell’ultimo ventennio o di Nino Di Matteo che della lotta alla Mafia è stato ed è un validissimo protagonista. Lo stesso termine Mafia porta a false piste interpretative perchè evoca realtà e riti che ormai fanno parte del passato. Roma non è preda della Mafia ma di mafia e di mafie è permeata tutta la sua intelaiatura criminale organizzata; di mafie sono imbevute tutte le sue realtà autoctone, di mafia sono i nomi eccellenti che hanno da anni fatto di Roma terra di missione. Fatti basati sull’intimidazione e sull’ omertà organizzati in modo sistematico per finalità di guadagno illecito sono in ogni angolo di Roma e del Litorale romano.
Non sempre si manifestano con fatti di violenza ma spesso, in modo piu subdolo, sono nascosti in una discoteca, in un supermercato ed anche nella apparentemente innocua edificazione di ville realizzate dove il mercato immobiliare è da anni saturo. Le manifestazioni di mafia non vanno più cercate nelle azioni eclatanti dei tempi della guerra contro lo Stato e nemmeno nei crimini da vendetta tra gruppi.
La mafia, e specialmente quella “sui generis”, come è la criminalità mafiosa romana e del litorale laziale che forse definire “Mafia” può indurre ad errore e a dibattiti inutili, è una forma evolutiva del fenomeno nato nel sud del nostro Paese. L’evoluzione di un fenomeno che, alle origini, aveva caratteristiche di rivendicazione sociale diventa sempre più consorteria criminale, dedita al guadagno e l’avvento del mercato della droga ne costituisce il maggiore elemento espansivo.
A Roma la criminalità organizzata è un fenomeno frammentato, un supermercato in cui aprire un punto di commercio e di guadagno criminali. Non si hanno grossi segni di guerre intestine, tranne qualche piccola “eliminazione” di personaggi scomodi, come quella di “Diabolik”; ma si assiste ad alleanze, intrecci, connivenze, tutti finalizzati al guadagno criminale sia con la prostituzione, che col traffico di droga, col controllo di stabilimenti balneari o con l’usura, sia nel mercato immobiliare sia nella gestione del “pizzo”.
Forse è questa caratteristica che induce la Cassazione a declinare metodicamente, il contenuto del 416 bis, dai reati di criminalità organizzata. O forse le ragioni sono altre.
Se i gesti eclatanti sono evitati, perchè la tranquillità aiuta il business, la criminalità non può rinunciare ai piccoli segni intimidatori nei confronti di coloro che creano intralcio alla loro attività piccola o grande, perchè senza intimidazione le mafie non potrebbero esistere. Sono questi segni la cartina al tornasole di un fenomeno che sta logorando il vivere comune. Carminati da una definizione eloquente della mafia di Roma “quella che vive in un mondo di mezzo”; tra quelli che stanno sopra, i colletti bianchi, le istituzioni, l’imprenditoria e quelli che stanno sotto, i rapinatori, i trafficanti di droga e quelli che sparano.
Sergio Franchi
Il nervo scoperto di Mauro
La reazione sopra le righe dell’assessore Mauro dimostra che abbiamo toccato un nervo scoperto. Ma andiamo per ordine. Ci viene detto che il Comune di Nettuno non avrebbe avuto i fondi del progetto per le periferie a causa della perequazione con il sud e quindi secondo l’assessore di Fratelli d’Italia la vicina Anzio farebbe parte del mezzogiorno d’Italia mentre Nettuno sarebbe in provincia di Bolzano.
Suvvia, siamo seri, il progetto di Nettuno non è rientrato nel bando del Ministero perché ha preso la metà del punteggio di quello dei nostri cugini e quindi se fosse stato un progetto all’altezza avremmo avuto 700mila euro per le nostre periferie ed invece nulla.
Zero carbonella. Poi, che vuol dire che il Comune ha ottenuto un mutuo di milioni di euro? La cifra andrà comunque restituita mentre questo finanziamento era a fondo perduto. A casa nostra, quando si devono restituire i soldi a seguito di un prestito o di un mutuo si fanno ragionamenti che incidono sul futuro di molti anni, invece quando c’è una entrata straordinaria e da non dover rimborsare è decisamente un’altra cosa. Ma questo è talmente lapalissiano da essere incontrovertibile. Poi, con la solita visione “pallonara” del vice sindaco Mauro, non ci si rende colpevolmente conto che si mettono inevitabilmente in un cantuccio tutti gli altri sport bloccandone la crescita e lo sviluppo. Il che non vuol dire dover penalizzare il calcio, ma vuol dire guardare oltre, aprire la mente ed ampliare gli orizzonti. Ma per fare questo serve programmazione e visione, cose decisamente sconosciute a questa amministrazione che vive a vista e molto spesso si incaglia. Ultima chiosa la dobbiamo ulteriormente riproporre. Pensavamo fosse ultronea perché lo diciamo da anni senza che nessuno in consiglio comunale e fuori ci abbia smentito.
Durante i nostri anni di amministrazione lo sport e lo spettacolo erano il fiore all’occhiello di questa città e per non seguitare a rammentare sempre le stesse cose facciamo solo un esempio: l’istituzione della festa dello sport da parte dell’assessore Luigi Visalli.
Non facciamo l’elenco delle cose fatte perché sarebbe lungo ed inutile, anche perché i nostri concittadini si ricordano bene quegli anni di grandi eventi ed hanno visto coi loro occhi la differenza da allora alle amministrazioni in poi.
Marco Federici
Roberto Alicandri