SIMPOSIO
Giuliana Bellorini
Coordinatrice corrispondente
del salotto sede del Simposio
Libri: resisterà la carta stampata
o vinceranno i monitor leggeri e consultabili (quasi) ovunque?
Che comodità aprire un piccolo e luminoso schermo e poter leggere la quantità di pagine di un grosso e pesante tomo!
Una libreria sempre con noi... capace di divenire anche strumento di ricerca e veloci risposte. Abbiamo spesso la sensazione di poter recitare un "apriti sesamo" e vedere esaudite tutte le nostre curiosità di informazione.
Ci chiediamo che ne sarà delle montagne di volumi di cui ancora ci circondiamo, colonne confortanti che riempiono ogni angolo di casa, fedeli ad attendere di essere lette, o anche solo sfogliate. Un rifugio, che ci riporta alla preziosità dell'oggetto e ne trattiene fatiche e ricordi, confermando come sia necessario circondarsi di cose che ci fanno stare bene.
Eravamo piccoli e ci regalavano un libro, siamo cresciuti e abbiamo destinato molti dei nostri averi per entrare negli spazi magici delle librerie e acquistare i volumi desiderati, magari dovendo attendere giorni per riceverli. Un gusto visivo, poi tattile, ma anche olfattivo, che prolunga il piacere dell'attesa della lettura, già nel profumo della carta e nella sua materia. Ritrovare un vecchio tomo, leggerne un appunto, scorgere una morbida e incerta sottolineatura o, chissà, magari una dedica con la data di un passato lontano.
Sarà difficile per molti di noi abbandonare un piacere così rituale e intimo, la carta stampata mantiene il suo fascino e ci accompagna tutti i giorni. Un quotidiano recuperato al chiosco dei giornali (luoghi sempre più rari), dopo una chiacchiera con il vecchio edicolante, come segno del trascorrere del tempo; un libro in cui immergersi la sera, all'ora del raccoglimento, per viaggiare, virtualmente e metaforicamente, tra geografie, storie e spazi della mente.
Nessuna scusa, quindi, per non regalarsi qualche pagina ogni giorno. Anche un moderno audiolibro può accompagnare chi non trova il tempo di fermarsi per tenere tra le mani un testo... buona lettura a tutti!
Giuliana
Domenica 21 gennaio 2024 - ore 16.00
QUANTISTICA E
RELATIVITÀ
PER GRANDI E PICCINI
con Sergio Bedeschi
È “ROBA GIÀ VECCHIA”!?
Quantistica e Relatività sono parole un po’ grosse, altisonanti che ci fanno pensare subito a qualcosa di assai moderno, anzi post-moderno. Curioso! Curioso perché invece si tratta di “roba già vecchia”, almeno in parte, visto che le “nuove” frontiere della Conoscenza che tali discipline hanno aperto nella Storia dell’umanità sono praticamente nate tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del ‘900, cioè oltre un secolo fa, tanto per intenderci.
All’inizio si trattava solo di discipline molto teoriche e formali basate su artifici matematici, ma poi nei decenni che seguirono si passò a continue e straordinarie applicazioni tecnologiche, umane, astronomiche, cosmologiche, nucleari, sub-nucleari, biologiche e medico-ospedaliere. Cioè tutte scoperte e rivelazioni che sono entrate di prepotenza e a buon diritto nella nostra vita quotidiana e nel bagaglio della nostra mente.
Tutte realtà nelle quali siamo sommersi, tanto da poter affermare che l’Uomo contemporaneo è radicalmente differente da quello di ieri, sia per ciò che oggi conosce, sia per le applicazioni e le invenzioni che riesce a realizzare. E, se è vero che questi sbalzi fanno parte della Storia umana, è pur vero che un’accelerazione della Conoscenza come si è avuta negli ultimi due secoli non ha precedenti per velocità e drammatiche modificazioni. Con questo non significa che si sia tutto compreso, che anzi ancora oggi si annunciano incredibili verità nascoste e gelosamente custodite da una Natura che, birichina come sempre, ama giocare a nascondino. E senza mai dimenticare che “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”, cioè, scherzi a parte, senza dimenticare che le applicazioni delle nuove conoscenze sono sempre piene di insidie e di pericoli sui quali la Coscienza dell’Uomo dovrebbe vigilare e gestire (speriamo). Ma questo è un altro discorso. A noi preme urgente un altro obbiettivo: se questa di cui abbiamo parlato è già “roba vecchia”, a che e a cosa spetta il titolo di “roba nuova”. Difficile dirlo tra la vasta, vastissima gamma delle ultime possibili definizioni.
Forse post-postmoderma è l’unico termine possibile per ora inattesa di comprendere dove stiamo andando. Intanto però con questa breve introduzione una cosa abbiamo detto. Cioè che dovremmo dare per scontato che tutti noi sappiamo benissimo cosa siano Quantistica e Relatività. Appunto la “roba vecchia” come abbiamo detto. Ma è proprio così? Siete sicuri di saper darne una definizione? E siete sicuri di sapere di cosa realmente si tratta? Di cosa si occupa? Di cosa ci garantisce? E cosa ci promette? E quali pericoli nasconde?
Ebbene ecco qua allora: questo è il vostro Simposio per domenica 21 gennaio 2024, oltre ovviamente l’occasione di aprire il nuovo anno a via Venezia con un augurante augurio.
OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi
di tutti gli interessati
Inclusione
Progressisti e retrogradi a confronto
di Giancarlo Marchesini
La ragione del contendere. Uno dei temi che infiammano i dibattiti sui nostri social è quello del linguaggio inclusivo, inteso come trattamento alla pari del genere maschile e di quello femminile nell’espressione scritta e orale. Il destro per questo intervento mi viene da una recente affermazione con cui il vicepresidente della Camera sostiene che esiste «un problema legato alla lingua» perché «alcune parole non si possono declinare al femminile e “presidente” è una di queste. Con il dovuto rispetto per la sua carica istituzionale, l’On. Mulè dà prova di ignoranza, non linguistica ma addirittura grammaticale perché il termine presidente non è “declinabile” ma epiceno (o ambigenere), valido cioè per entrambi i sessi esattamente come coniuge, dentista, giornalista, ecc.
Fuochi fatui? Questi dibattiti, se alimentati da persone con poca cognizione di causa, innescano un surriscaldamento dell’opinione pubblica che spesso si risolve nel ridicolo. Ad esempio, non bisognerebbe parlare di declinazione (parola che è riservata a lingue che hanno i casi, come il latino, il russo o il tedesco) ma di flessione. Per i vocaboli epiceni, l’italiano dispone di più strumenti per evidenziare la differenza di genere, ad esempio l’articolo: il dentista / la dentista, il giornalista / la giornalista, ecc. Ma l’Onorevole ha ragione quando sostiene che “esiste un problema legato alla lingua”. L’italiano come tutte le lingue romanze si serve del maschile sovraesteso per indicare entrambi i sessi.
Regole accettate o disattese? Quando dico “questa spiaggia è piena di bei ragazzi e ragazze” non cerco di trattare le ragazze come esseri maschili (bei), sto semplicemente osservando una regola della grammatica italiana. Certo, mi potrei cavare d’impaccio dicendo “questa spiaggia è piena di bei ragazzi e belle ragazze”. E proprio su questi artifici sociolinguistici si fonda la polemica sull’inclusione. Alcune lingue, italiano e francese, ad esempio, optano per l’accumulo dei generi (ricercatore / ricercatrice) altre per la contrazione ricercatore/trice. Senza scomporsi, l’inglese guarda dall’alto l’intera problematica: da ormai molti anni sono caduti in disuso termini come: chairman e chairwomen, sostituiti da un asettico chairperson.
Un retaggio antico. È evidente che la regola del maschile sovraesteso è stata coniata in epoche in cui le donne erano considerate poco più di merce di scambio fra i maschi. E questo dato di fatto continua a condizionare il giudizio degli assertori oltranzisti dell’inclusione. Essi (esse?) sembrano non voler capire che la “lettera” non va necessariamente di pari passo con lo “spirito”. Non sono certo le quote rosa che possono sancire l’equiparazione fra uomo e donna. Mi sembrano piuttosto tentativi forzosi per ovviare a un divario che dovrebbe essere eliminato ab ovo nella nostra coscienza. Pochi ormai sostengono che una donna non possa svolgere funzioni di imprenditore, amministratore delegato o rettore di un’università.
Un dilemma. Ma qui torniamo, ce ne accorgiamo immediatamente, al problema linguistico: non ho parlato di imprenditrice, amministratrice o rettrice. Cambiando la lingua, possiamo cambiare la società? Teoricamente no: ma devo ammettere che abbiamo ormai cresciuto due generazioni (50 anni) che usano la parola nero anziché negro. E coloro che si servono della parola negro come insulto (negro di m...da) vengono considerati come facinorosi, anzi si crogiolano nel loro comportamento eversivo.
Altrettanto facinorose mi sembrano però le pretese di imporre alla lingua regole che le sono estranee. Certo per i difensori più accesi della femminizzazione delle denominazioni professionali è difficile accettare che rettore o amministratore delegato indicano una funzione e non la persona che la esercita. La nostra Presidente del Consiglio ha deciso che la sua funzione debba essere descritta come “presidente” e non come “presidentessa”.
Inerzia sociolinguistica. Perché questa scelta? Non possiamo non tenere conto di una forte inerzia sociolinguistica per cui la parola presidentessa mi fa venire in mente le Dame di San Vincenzo e “avvocata” fa piuttosto pensare al Salve Regina e non a una laureata in giurisprudenza.
Mea culpa. Mi rendo conto che, geneticamente, sto considerando l’intera problematica come un maschio e mi rendo conto dell’esasperazione con cui le donne vedono questa mia posizione come retrograda o sessista. Ma spero di non essere giudicato come il presidente Macron che ultimamente si è espresso in modo assolutamente patriarcale sull’argomento. La lingua è un organismo vivente che non si lascia suggestionare da giornalisti, politici e influencer in cerca di notorietà. La collettività dei parlanti, come un fiume in piena che rompe gli argini, spazzerà via forme desuete e ne introdurrà di nuove, accettate da tutti. Ma ricordiamo il monito: Est modus in rebus, diceva Orazio: esistono confini, al di là dei quali non può esservi il giusto.
YOUNG SOPHIA
Il pensiero dei giovani
LUCE
Nell'ora bucata di luce bianca
mi sono sentita un naviglio spettrale
Senza te la terra è sepolta dal mondo.
Mi sono messa con la testa all'ingiù
come fossi una bambina che gioca con la mente
E mi sono sentita un corpo morto e risorto
dentro la stessa malattia.
E mi sono sentita un Oceano stregato
appesa alle pareti
un credo solenne tra l'indice del cielo e la memoria.
Gloria Sannino