Il Litorale • 18/2020
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Pag. 26 Il Litorale ANNO XX - N° 18 - 16/31 OTTOBRE 2020
S i m p o s i o
LIBERO INCONTRO ARTISTICO CULTURALE
ANZIO
E-mail: ilsimposio@alice.it • aa amici del simposio di Lavinio
Giuliana Bellorini
è l’organizzatrice
del salotto sede del Simposio
DUE GRANDI AMICI
DEL SIMPOSIO
CHE SE NE VANNO
12 ottobre 1492
COLOMBO SCOPRE
L’AMERICA
Come venne raccontata al popolo
di Roma questa grande avventura?
diAlessandro Evangelisti
TUTTI AL LAVORO
Impegnate come non mai anime feconde guardano, meditano e riflettono l’immagine dei loro
pensieri. Chi oppresso dal momento, chi dal fatto di cronaca che ci ha tolto amici per sempre,
chi osserva oltre la finestra in attesa di un cambiamento. Chi esce sulle strade o in riva al ma-
re per ritrovare la vita di sempre. Tutti al lavoro per impegnare questo lungo interminabile dif-
ficile momento per condividerlo e garantire un dialogo amico anche per i giorni che verranno.
Mai con non mai siamo stati e continuiamo ad essere insieme.
Giuliana
Gianfranco Cerri e sua moglie Gianna se ne sono andati,
assieme, domenica 27 settembre. Una perdita dolorosa per
tutti noi.
Proveniente dal Corso Nibbio dell'Aeronautica Militare,
Gianfranco aveva trascorso i suoi anni più belli sui caccia
bombardieri (i Diavoli Rossi della Base di Ghedi). È stato
lì, tra le contrade del Bresciano, che negli anni ’60 aveva
incontrato e poi sposato Gianna, purtroppo già vedova di
un altro nostro carissimo e giovanissimo collega, caduto
qualche anno prima con il suo Starfighter F104, il com-
pianto “Pippo” Stella. Gianfranco era poi approdato all’A-
litalia concludendo la sua brillante carriera come Coman-
dante di aerei DC 9 e MD 80.
Negli anni più recenti aveva fatto del Simposio di Lavinio
la sua seconda casa, rivelandosi fin da subito un parteci-
pante attivo e vivace. Portava con sé una grande cultura: in
parallelo alla sua vita di aviatore, egli aveva infatti coltiva-
to da sempre un interesse e una passione continua per il
mondo della Scienza e della Filosofia. Semplice capire il
suo facile integrarsi con le attività del gruppo. Le più avan-
zate forme della Matematica, della Fisica Quantistica e
della Relatività facevano parte ormai del suo quotidiano
pensare e conversare spingendolo non raramente sulle
frontiere della conoscenza, quando non addirittura su temi
filosofici più ardui, etici o escatologici, per un’indagine a
tutto campo sui destini del Mondo. Una presenza, la sua,
che non raramente generava dibattiti e discussioni. È stato
simpatico e originale protagonista anche su alcuni Quader-
ni del Simposio: senz’altro da rileggere e conservare il
Quaderno sul “confronto e scontro" tra Quantistica e Rela-
tività condotto tra lui e Sergio Bedeschi (altro aviatore), al-
lietato da tutta una serie di vignette, e disegni (qui la mano
del figlio Alessandro, pilota anche lui tanto per cambiare),
il tutto condito con la consueta volontà di semplificare al
massimo argomenti così particolari. Dunque una sequenza
di aviatori che certo, per qualche istante, avrà fatto sorride-
re il nostro Ettore da lassù.
La singolare fine con cui Gianfranco Cerri ha chiuso la sua
esistenza può lasciare sgomento chi non lo ha conosciuto
per davvero, non certo chi invece lo abbia compreso nei
suoi aspetti più profondi e significativi. Valga, una per tut-
te, la confessione fatta dal figlio Alessandro all’indomani
della scomparsa:
“Il suo è stato un deliberato e lucido atto d’amore”.
Quanto basterebbe per consolare il cuore di chi lo ha sti-
mato e gli ha voluto bene. Sia come sia, comunque, io non
riesco a perdonargli di avermi privato della sua amicizia e
della sua presenza fisica.
Sergio Bedeschi
Osteria romana - Dipinto di Bartolomeo Pinelli (1781- 1835)
traverso l’immaginazione della gente comune la scoperta
del Nuovo Mondo.
porale,/ Qui, dice, è mejo assai de fà fagotto!// Defatti,
senza tanti comprimenti,/ Sagguantorno più roba che
poteveno,/ La caricorno su li bastimenti,// Spalancorno le
vele in faccia ar vento…/ Ormai tanto la strada la
sapeveno,/ E ritornorno a casa in d’un momento.
E tutto diventa come un gioco senza regole.
Dal Son. XLIV.
Eh! l’omo, tra le granfie der destino, / Diventa tale e quale
a un giocarello/ Che te capita in mano a un
ragazzino://Che pô esse’ er più bello che ce sia,/ Quando
che ci ha giocato un tantinello,/ Che fa?, Lo rompe, e poi
lo butta via.
Nei sonetti finali, Pascarella descrive il ritorno in Spagna
di Colombo e la meraviglia di quanto portato dall’Ameri-
ca, e gli onori riservatigli inizialmente. Ma poi anche le ac-
cuse a lui rivolte e la sua prigionia, che sono da lui com-
mentate amaramente nel Sonetto XLIV.
SUL CONCETTO
DI LIBERTÀ /6
di Lia Bronzi
LA STORIA IN SONETTI
Un gruppo di popolani romani del 1800 è seduto attorno ad
un tavolo di un’Osteria e discute sulla famosa impresa di
Cristoforo Colombo. Uno di loro inizia a raccontare con
trasporto dell’avventuroso viaggio, in un crescendo di im-
magini pittoresche. Tra un bicchiere e l’altro di vino. È in
questa cornice che il poeta romanesco Cesare Pascarella
(1858-1940), trasteverino, nel suo poema in versi (di 50
sonetti) “La Scoperta de l’America” (1894) fa rivivere at-
Che cosa è dunque la libertà?
Non dobbiamo, a mio parere, intenderla come una pura as-
senza di costrizione, e tanto meno ritenere che essa possa
essere goduta da un uomo a spese di quella degli altri.
Quando parliamo di come di cosa di alto pregio, pensiamo
a un positivo potere di fare o di godere qualche cosa degna
di essere fatta e goduta, e che anzi godiamo in comune con
altri. Quando noi misuriamo il progresso di una civiltà dal
suo aumento di libertà, lo misuriamo dall’incremento e
dallo sviluppo della totalità di quei poteri che costituiscono
il benessere sociale. La pura rimozione della costrizione (la
cosiddetta «libertà negativa») non è di per sé sufficiente
per ottenere la vera libertà: in un certo senso, nessuno è li-
bero di fare quel che gli pare quanto il selvaggio: eppure
non lo consideriamo come veramente libero, poiché la sua
libertà non è forza ma debolezza; se egli è schiavo dell’uo-
mo, è schiavo della natura. Anche nella civiltà antica, a cui
pure tanto dobbiamo, la straordinaria fioritura della classe
privilegiata era accompagnata e condizionata dalla schiavi-
tù della moltitudine: ventimila ateniesi non avrebbero po-
tuto recarsi ogni giorno in piazza a decidere gli affari pub-
blici, se non ci fosse stato un esercito di schiavi a lavorare
per loro; ciò a riprova dei limiti profondi di quella che pure
è stata la culla della democrazia.
Occorre poi affermare con forza che la libertà senza autori-
tà sarebbe anarchica, così come l’autorità senza libertà sa-
rebbe tirannide. La libertà rettamente intesa non è la nega-
zione di ogni autorità: essa è la negazione solo di quella
autorità che non rappresenti lo scopo collettivo della nazio-
ne, e che pretenda di impiantarsi e mantenersi su una base
che non sia il libero e spontaneo consenso dei cittadini. So-
lo in una società in cui si attui, da un lato, la massima li-
bertà e, dall’altro lato, la più rigorosa determinazione dei
limiti di tale libertà affinché essa possa coesistere con la li-
bertà degli altri, solo in una società siffatta può essere rag-
giunto il supremo fine della natura, cioè lo sviluppo di tutte
le facoltà umane. Scriveva Kant che soltanto nel recinto di
una società civile saggiamente regolata gli spontanei im-
pulsi umani danno il migliore risultato, così come gli alberi
in un bosco, per il fatto che ognuno cerca di togliere aria e
sole all’altro, si costringono reciprocamente a cercare l’una
e l’altro al di sopra di sé e perciò crescono alti e dritti,
mentre gli alberi che vivono in piena libertà e lontani tra
loro crescono storpi, storti e tortuosi.
Mazzini scrisse nei “Doveri dell’uomo” che «la libertà ve-
ra non consiste nel diritto di scegliere il male, ma nel dirit-
to di scegliere fra le vie che conducono al bene». La vera
libertà, cioè, si realizzerà pienamente quando essa non sarà
più soltanto il diritto di usare e abusare delle proprie facol-
tà nella direzione preferita da ognuno, ma si trasformerà
nel diritto di scegliere liberamente, secondo le proprie ten-
denze, i mezzi per ben operare: quando essa diventerà, in
Il tempo passava. Dal Son. XIII
Passa un giorno… due... tre...‘na settimana.../ Passa un
mese che già staveno a mollo.../ Guarda... riguarda… Hai
voja a slungà er collo, / L’America era sempre più lontana.
// E ‘gni tanto veniva ‘na buriana…/ Lampi, furmini, giù a
rotta de collo,/ Da dì: qui se va tutti a scapicollo …
La distesa del mare sembrava senza fine. Dal Son. XVI
... Ché lì pôi camminà quanto te pare:/ Più cammini e più
trovi l’infinito,/ Più giri e più ricaschi in arto mare.// Sé-
guiti a camminà’ mijara d’ora.../ Dove c’è er cèlo te pare
finito,/ Invece arrivi lì... comincia allora!
Dopo più di due mesi di navigazione, i marinai erano
nello sconforto. Dal Son. XVIII
...«Avanti, avanti!» So’ parole belle…/ Ma qui, non ce so’
tanti sagramenti,/ Caro lei, qui se tratta de la pelle!...
Colombo dà una scadenza al viaggio. Dal Son. XXII
... È vero, si, se tribola da un pezzo// ... Che noi p’antri du’
giorni annamo avanti,/ E si proprio, percristo! nun c’è
gnente/ Se ritrocede indietro tutti quanti./…
Finalmente la terra è avvistata! Dal Son. XXIII
... Defatti, come venne la matina,// Terra ... Terra!.. Per-
cristo!..// E tutti quanti / ridevano, piagneveno, zom-
paveno...// E lì, a li gran pericoli passati/ Chi ce pensava
più? … S’abbraccicaveno,/ Se baciaveno … C’ereno ar-
rivati!
Sbarcati, trovano un insolito ambiente. Dal Son. XXVI
... Te basta a dì che lì in quella foresta, / Capischi? Le pi-
antine de cicoria/ Je ‘rivaveno qui, sopra la testa ...
Dal Son. XXVIII - Ma poi nun serve a dille tutte quante!/
La gran difficortà de quella sérva/ È che tu, framezzo a
quelle piante,/ Tu ‘gni passo che fai, trovi ‘na berva…
Nella foresta, il primo incontro con un indigeno.
Dal Son. XXIX
…Veddero un fregno buffo, co’ la testa/ Dipinta come fosse
un giocarello,/ Vestito mezzo ignudo, co’ ‘na cresta/ tutta
formata de penne d’ucello.// Se fermorno. Se fecero corag-
gio ... -‘Ah quell’omo! Je fecero, chi sête?’/ - ‘Eh, fece, chi
ho da esse? Sò ‘n servaggio!...
L’indigeno porta i nuovi arrivati dal Sovrano.
Dal Son. XXX
... E quelli allora, co’ bone maniere,/ Dice: - ‘Sa? Noi ven-
imo da lontano,/ Per cui, dice, voressimo sapere/ Si lei sete
o nun sete americano...// - ‘Che dite? fece lui, de dove sê-
mo?/ Sêmo de qui… Ma come sò chiamati/ ‘Sti posti, fece,
noi nu’ lo sapemo.-
Scambio di doni, con furbizia dei nuovi arrivati.
Dal Son. XXXII
Li trattaveno come ragazzini!/ Pijaveno du’ pezzi de spec-
chietti,/ ‘Na manciata de puje… du’ pezzetti/ De vetro… un
astuccetto de cerini ...// ... E tutti quanti queli poveretti/ Je
daveno le spille e l’orecchini!...
Ma poi iniziarono i conflitti con gli indigeni.
Dal Son. XXXIX
...Poi le cose arivorno a un punto tale, / Che lesto e presto
fecero un complotto:/ - Eh qui, prima che schioppa er tem-
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