SOS per l’umanità
Chi salverà l’umanità - si chiede il Galbraith - nel prossimo futuro, da questo pericolo che angoscia gli spiriti migliori dei nostri tempi, i quali hanno occhi per vedere anche gli aspetti negativi della nostra opulenta civiltà dei consumi e sensibilità per avvertire i pericoli? Secondo l’economista americano, in questa epoca della tecnostruttura, il vero potere risiede negli uomini di scienza, come un tempo risiedeva nel denaro (quindi nei capitalisti) e prima ancora nella terra (e quindi nei latifondisti). È pertanto agli scienziati che egli assegna il compito di salvare l’umanità dal pericolo del monolitismo economico, il compito cioè di mantenere vivo il pluralismo di tutti gli interessi umani: morali, religiosi, estetici e così via, di contro al culto dilagante e soverchiante dell’aspetto economico della vita, avviando così l’umanità verso il più completo, integrale umanesimo. L’analisi dello studioso americano è senza dubbio in gran parte esatta e le sue indicazioni possono essere ampiamente condivise. Salvo precisare, però, che se agli scienziati spetta di indicare le vie di una effettiva liberazione della società umana, la loro opera da sola è insufficiente all’immane compito e sarà vana se ad essa non si affiancherà l’opera di tutti coloro che sentono il dovere di contribuire, ciascuno nel proprio ambito, al progresso umano.
È il momento dell’autoconsapevolezza
Se infatti la tecnica da sola non è in grado di assicurare lo sviluppo della libertà, nemmeno le leggi, da sole, possono fare miracoli e, anche se li facessero, quei miracoli sarebbero mere prove di forza che non renderebbero per questo più consapevoli gli uomini. La libertà, e non la legge, è il principio riproduttivo della virtù e del benessere; perfino l’errore libero – sosteneva Benjamin Constant – vale più della verità comandata e si rivela più favorevole al perfezionamento del nostro spirito che non una verità che viene adottata solo perché ci è imposta. Perciò ogni cittadino dovrebbe ripetersi giorno per giorno in fondo all’animo le parole che diceva il palatino di Posen alla Dieta polacca: «Malo periculosam libertatem quam quietum servitium» (preferisco una libertà irta di pericoli ad una tranquilla servitù).
Continua
Per la I, II e III parte vedi
Il Litorale di metà giugno, agosto e metà settembre 2020
LA FLOTTA DELLE INDIE
Gli Europei del XV secolo chiamavano
Indie Occidentali quell’insieme di isole nel
Mar dei Caraibi comprese tra la Florida e il Venezuela.
di Alessandro Evangelisti
IL NUOVO MONDO
Una volta scoperta l’America, la tradizione storica dice che “l’oro, la gloria e il Vangelo spinsero gli Spagnoli”. A posteriori, si può desumere che anche la “cupidigia” si aggiunse quale importante fattore. E, indubbiamente, pur volutamente abbellita con la religione, la conquista del nuovo continente fu segnata da un alto prezzo di sangue che “…uomini con governi e civiltà inferiori …” (Josè De Acosta, La storia naturale e morale delle Indie, 1590) pagarono per le ricchezze affluite nei forzieri spagnoli. L’iniziale rigagnolo d’oro divenne un flusso notevole ad opera dei conquistadòres Hernàn Cortés (ca 1521: conquista del Messico dell’Impero Azteco) e Francisco Pizzarro (ca 1533: conquista del Perù, Colombia e Cile dell’Impero Inca). Un grande bottino di manufatti aztechi e inca contenenti oro e argento venne fuso per ricavarne barre, marcate con il simbolo delle armi reali di Spagna, e inviato in Europa. Inoltre, gli Spagnoli iniziarono ad inviare anche ingenti quantità di oro, di argento e di smeraldi (i migliori di quel tempo) estratte dai giacimenti dei territori conquistati, insieme ad altrettante quantità di perle e di altre pietre preziose.
LA FLOTTA TESORIERA
In considerazione della regolarità del trasporto dei grossi quantitativi di beni preziosi (“Una valutazione giusta dei metalli e delle pietre preziosi andati a finire in Spagna durante il periodo del suo dominio sul Nuovo Mondo, è di 4-6 miliardi di dollari, una somma che allora rappresentava forse cinque volte il valore di acquisto di oggi.” - M.Peterson, La Flotta dell’Oro, 1975), le navi erano oggetto di attacchi lungo la rotta da parte di pirati che, quasi fin dal primo momento, accorsero lungo le coste della Spagna e delle Indie Occidentali attirati dall’esilarante sentore dell’oro e dell’argento. Per farvi fronte, gli Spagnoli organizzarono la c.d. Flotta delle Indie, un sistema di convogli che salpavano annualmente da Siviglia verso le colonie spagnole nel Nuovo Mondo (trasportando passeggeri, truppe e manifatture europee), per poi fare ritorno in Europa dopo aver imbarcato le ricchezze americane portate da altri convogli al porto di ripartenza (in genere, L’Avana, nell’isola di Cuba). La Flotta avrebbe trasportato anche le merci arrivate in America dall’Asia con i Galeoni di Manila, attraverso l’Oceano Pacifico. Ogni viaggio del convoglio mercantile era scortato da vascelli armati, per sovvenzionare i quali la Corona spagnola istituì una specifica tassa, l’averìa.
LA PIRATERIA
L’impero spagnolo nato sull’oro dell’America centro-meridionale divenne polo di attrazione di migliaia di uomini in cerca di facile ricchezza: marinai reduci dalle guerre di religione europee o disertori, cacciatori, poveri contadini, nobili decaduti, avventurieri e arrampicatori sociali, i quali videro nei Caraibi una mèta ambita. E, da allora, non vi fu pace per le flotte tesoriere spagnole. Corsari (autorizzati con lettere di còrsa dai re europei), pirati, bucanieri, fuggiaschi, batterono per tre secoli le coste dei Caraibi e di quella parte dell’America, depredando e saccheggiando. Ammutinamenti e repentini cambiamenti di alleanze potevano portare i più temerari di loro alla fortuna (fino al titolo di Sir, come Francis Drake; o alla carica di Governatore della Giamaica, come Henry Morgan), ovvero a penzolare impiccati ad un pennone (come Barbanera). Essi si raccoglievano alla Tortuga, un’isoletta rocciosa a qualche miglio al largo della costa Nord-occidentale di Hispaniola (la seconda delle Antille per estensione, oggi divisa negli Stati di Haiti e Repubblica Dominicana), dove si era costituita una specie di repubblica o di confraternita: I Fratelli della Costa. Ma questa è un’altra storia.
LE DONNE E LA II GUERRA MONDIALE 3ª parte
di Francesco Bonanni
In Russia
Particolare fu il contributo delle donne russe alla guerra contro l’invasore germanico.
Anche nel caso russo l’impiego delle donne nella Armata Rossa non fu inizialmente apprezzato dalle Autorità Militari. Ma la realtà della Seconda Guerra Mondiale si presentò per l’URSS particolarmente drammatica per cui le necessità belliche richiesero la presenza di militari donne in prima linea. Il principale motivo che indusse molte donne a prendere le armi fu il particolare carattere che assunse quel conflitto: una “guerra totale” che si dall’inizio si rivelò in tutta la sua brutalità con i diffusi stermini di massa.
Le donne russe parteciparono in tutti i ruoli: - Soldati di fanteria, Carristi, Marinai, Tiratori scelti, Addetti all’Artiglieria, contraerea, Infermieri, Piloti da Bombardamento e da Caccia.
Le donne Piloti dell’Armata Rossa meritano un discorso a parte. Streghe della notte furono chiamate le donne pilota del 588° Reggimento Bombardamento Notturno dai nemici tedeschi. Caratteristica peculiare di questo Reggimento fu quella di essere formato unicamente da donne. Fu costituito tre mesi dopo l’invasione tedesca della Russia chiamata “Operazione Barbarossa.
Come nel caso inglese sorse per iniziativa di una donna: la nota Aviatrice e Membro del Soviet Supremo Marina Raskova. Grazie alla popolarità di cui godeva in Patria poté convincere Stalin ad arruolare nell’Aeronautica Sovietica anche le donne. Difatti l’8 ottobre 1941 Josif Stalin autorizzò la costituzione di tre Reggimenti di donne pilota: un Reggimento da Caccia, uno da Bombardamento diurno e un altro da Bombardamento Notturno. Il Reggimento da Bombardamento Notturno era formato da biplani progettati nel 1928 e originariamente destinati ad addestramento, ricognizione e a collegamento.
Questi biplani non disponevano di alcuna strumentazione per il volo notturno e per il puntamento bombe. Erano dotati unicamente di una bussola, di una mappa e di un cronometro. L’Armamento era costituito da due bombe a caduta per un peso complessivo di 100 Kg.
Per cui per conseguire gli scopi prefissati erano necessari più missioni per ogni notte. Fu l’Unità dell’Aeronautica Sovietica più decorata. Molte di queste donne pilota eseguirono oltre 1.000 missini, 23 di loro furono decorate con la Stella d’Oro di Eroe dell’Unione Sovietica e 31 caddero in combattimento.
In Italia
L’Italia rappresentò un caso a parte: mentre si verificò una massiccia partecipazione femminile nell’Industria Bellica ed in numerosi Settori della Vita Civile non avvenne altrettanto nel Settore Militare, ad eccezione delle Infermiere volontarie destinate a prestare assistenza sanitaria negli Ospedali da Campo e sulle Navi Ospedale.
Solo quando il gettito delle leve maschili non poté più soddisfare le crescenti necessità di Specialisti, la Regia Aeronautica decise di arruolare personale femminile nel delicato Settore delle Trasmissioni.
Nel 1940 la Federazione di Milano con la collaborazione del locale Fascio Femminile organizzò i primi corsi di Radiotelegrafia destinati alle ragazze tra i 18 e i 21 anni. Successivamente questa iniziativa si estese a numerose altre Federazioni.
Anche la Regia Aeronautica arruolò nel Settore delle Telecomunicazioni personale femminile appartenenti alla fascia di età di 18 ai 40 anni. Alla fine del Corso le Allieve conseguivano il Brevetto di Marconiste-Aerologiste-Telescriventiste per essere assegnate ai CAV (Centri di Assistenza al Volo).
Potevano frequentare la mensa Ufficiali oltre ed usufruire di alloggio fornito dalla stessa Forza Armata.
Inizialmente le Marconiste indossavano l’uniforme del Partito Fascista sulla quale era ricamato sia sul braccio sinistro che sul petto il prestigioso distintivo di “Ausiliaria della Regia Aeronautica”.
Solo dal febbraio del 1943 alle Marconiste fu fornita una uniforme grigio -azzurra con i fregi della Regia Aeronautica ma senza stellette in quanto il loro stato giuridico rimase quello di “Ausiliarie Civili”.
La loro esperienza risultò piuttosto breve: si concluse con l’8 settembre del 1943 anche se nel Regno del Sud fu ripresa, ma solo con mansioni puramente amministrative, con l’istituzione del CAF (Corpo di Assistenza Femminile).
Indossavano una uniforme di foggia inglese ed avevano il grado di Sottotenente.
Anche in questo caso il Corpo fu sciolto alla fine delle ostilità.
La Repubblica Sociale Italiana istituì sin dall’aprile del 1944 il SAF (Servizio Ausiliario Femminile) che riscosse un certo successo.
Oltre seimila donne di varia provenienza sociale inserite nell’Aeronautica Repubblicana a pieno titolo furono impiegate in compiti sussidiari fino alla Liberazione.
Concludendo, dalle vicende belliche nelle quali sono state coinvolte le donne, si può constatare quanto la Realtà presenti dei veri e propri paradossi.
Difatti la Guerra, con i suoi orrori e distruzioni sia materiali che morali, ha presentato anche ricadute positive sia nel campo dell’evoluzione tecnologica che in quella della lunga e sofferta strada dell’Emancipazione Femminile.