Breve storia delle drammatiche vicende che seguì l’armistizio dell’8 settembre 1943 tra l’Italia e gli Alleati
Quando Nettuno e Anzio combatterono la loro guerra
Il ricordo del soldato Leonardo Castellana, scritto su alcune pagine di un quaderno ci consente di raccontare gli episodi che seguirono la firma dell’armistizio dell’Italia con gli Alleati che avvenne il 3 settembre 1943, ma annunciato cinque giorni dopo, la sera dell’8 settembre; con quell’accordo la Germania di Hitler, “amica” fino al giorno precedente, diventò improvvisamente nostra “nemica”. Castellana era un siciliano che prestava servizio alla Caserma Piave, costruita nel 1936 dal Ministero della Guerra, sulla collina della zona di S. Barbara, per ospitare la specializzazione artiglieria trainata a cavallo e il servizio contraerea. Riportiamo di seguito la sua inedita testimonianza, completata con alcuni avvenimenti accaduti dei quali ne siamo a diretta conoscenza, grazie alle interviste registrate nel 1988 e pubblicate nel libro Quei giorni a Nettuno.
“Alla Caserma Piave – ha scritto Castellana - alle ore 7 e 15 minuti mentre camminavamo verso l’uscita per recarci nei posti di servizio assegnati, vedemmo che davanti il cancello principale c’erano alcuni carri armati e soldati tedeschi in assetto di guerra. Il maresciallo di picchetto, un tipo magro, con una cicatrice sulla guancia sinistra, non si era reso conto di ciò che stava accadendo. Lo avvertimmo e fece suonare immediatamente l’allarme. Mentre i tedeschi stavano sempre con i fucili puntati verso la caserma, corsi verso l’ufficiale di servizio Giuseppe Bianchi e gli dissi che i tedeschi aveva circondato la caserma, ma non capiva, fin quando senti la tromba suonare l’allarme. Ci preparammo con le mitragliatrici appostati nelle finestre che guardavano verso l’ingresso. Aspettammo che fossero i tedeschi a cominciare le ostilità. Per un po’ regnò il silenzio, interrotto dagli spari dei fucili dei soldati tedeschi, ai quali rispondemmo immediatamente con la nostra mitragliatrice azionata dal soldato Santini, un toscano. I tedeschi passarono alle armi pesanti e un colpo mi sfiorò la testa procurandomi una leggere ferita. Dalle nostre postazioni riuscivamo a vederli appostati dietro il muro di cinta alto solo un metro e venti. Provarono ad entrare con i mezzi corazzati, ma li respingemmo. I combattimenti andarono avanti per ore. Nel pomeriggio, dopo trattative con gli ufficiali superiori ci fu dato l’ordine di cessare il fuoco. Già gli aerei dell’aviazione tedesca, sorvolavano minacciosi la Caserma Piave. Durante la tregua l’ufficiale Spinetti mi accompagnò in infermeria per le dovute medicazioni. Nella sala c’erano tanti feriti, anche l’ufficiale, il tenente Micretti, era ferito alla gamba. Credo che ci fossero stati morti da ambedue le parti. Uno dei nostri era stato l’ufficiale Enrico Dumontel; gli spararono mentre veniva in caserma. Dissero alcuni soldati, testimoni oculari, che Dumontel, visto il pericolo, cercò di scappare ma fu colpito da una raffica di mitragliatrice. Uccisero anche il soldato di sentinella che stava alla porta d’ingresso, perché tentò di reagire”.
(Il 9 settembre ’43 risultano uccisi dai tedeschi: il nettunese Giuseppe Siego, il sergente Giuseppe Minutolo, Mario Villotta, il sergente artigliere Domenico Pardini. Il caporal maggiore Renato Galassi, il capitano d’artiglieria Sergio Chiarandini e il soldato Papas).
Riprendiamo con il racconto di Leonardo Castellana: “Tutti i nostri ufficiali superiori, il colonnello De Martino, il maggiore Rotondi, il colonnello Bono, il tenente Lo Curto cercarono di contattare il colonnello Bruno Toscano che non era in caserma. Nel frattempo facevano trattative con i tedeschi. Il maggiore Lamberti fu catturato e spedito in Germania; morì subito dopo il suo ritorno alla fine della guerra.Di sera, d’accordo con gli ufficiali, lasciammo la Caserma Piave per evitare che ci facessero prigionieri e ci rifugiammo in campagna, ospiti delle famiglie nettunesi. Il giorno successivo ci unimmo ai rivoltosi che si erano barricati al castello Sangallo. Togliemmo il ponte levatoio e ricordo che tra gli altri c’erano Domenico Molinari, Umberto Pecchia e Mario Trippa che restò vivo per miracolo in virtù della prontezza di alcuni di noi perché un tedesco, mentre era a terra ferito, dopo che avevamo danneggiato una corriera con soldati tedeschi a bordo, puntò la pistola verso Mario Trippa mentre noi gli urlammo di buttarsi a terra. Sparammo al tedesco e lo colpimmo a morte. Un ufficiale, poi seppi che era il nettunese Angelo Lauri, arrivò con un carro armato e cominciò a sparare contro i tedeschi e li mise in fuga. Il 12 settembre, dopo tre giornate di guerriglia, durante i quali ci furono morti e feriti cessarono le ostilità con la promessa da parte dei tedeschi che non ci sarebbero state rappresaglie”. (Il 10 settembre il sergente Carlo Colombi, in compagnia del sergente Puzzi, e dell’artigliere Emilio Mazzuccato, addetto al vecchio cannone del porto di Anzio – insieme al nettunese Augusto Rondoni, detto Ruro, che colpì un trattore d’artiglieria pesante in parte cingolato, con sopra una decina di tedeschi, iniziarono la guerriglia contro i tedeschi. Quella mattina morirono il capitano Lucillo Gallio e il cittadino di Anzio Raffaele Palumbo; l’11 settembre seguirono la stessa sorte Davide Alessandrelli di Anzio, Claudio Paolini di Anzio e Domenico Carrozza un ventenne Camicia nera, che si era unito ai rivoltosi). Torniamo alle pagine scritte di Castellana.
“Il 13 avevamo ancora le armi, ci presero e ci portarono al comando di piazza Mazzini, quello che fino a pochi giorni prima era stato il nostro presidio militare e l’alloggio dei nostri ufficiali. Ci portarono a Latina e fummo condannati a morte dal tribunale militare nazista. Con me c’era anche Umberto Pecchia e tanti altri militari della Caserma Piave.Dopo quindici giorni, di notte, sentimmo dei rumori: pensammo che sarebbe stata la nostra fine, invece era il capitano Lupi, il quale aveva organizzato la nostra fuga con alcuni partigiani di quella zona. Ci dileguammo nella campagna cercando un aiuto dai proprietari dei poderi. Dopo averci dato qualcosa da mangiare però ci pregavano di andare via per paura di ritorsioni. Arrivammo a Nettuno all’alba di una domenica. Qualcuno si nascose tra le tombe e le cappelle del cimitero civile. Qualcun’altro si era fermato nelle grotte di campagna e altri come me alla chiesa del Sacro Cuore. Però padre Egidio e il parroco padre Emilio Galluzzi, stavano sempre con la paura che arrivasse qualche soldato tedesco a perquisire la chiesa”.
Lo stesso parroco Emilio Galluzzi ci permette di rivivere quelle giornate dell’occupazione tedesca di Nettuno, con le pagine del diario pubblicato sul calendario della parrocchia del Sacro Cuore nel 2012, per il 75° anniversario della fondazione.
Scrive padre Emilio Galluzzi: “8 settembre – In serata, verso le 19, si sparge la voce che l’Italia abbia fatto l’armistizio con l’Inghilterra, voce confermata alle ore 20 dal generale Badoglio. In tutti gli animi si eleva l’inno della gioia e della letizia. Moltissimi fedeli di portano processionalmente in chiesa, visibilmente commossi e contenti. Ma la gioia dura poco. 9-10 – Giorni angosciosi per Nettunia e per tutta l’Italia. Si svolge una micidiale guerriglia fra soldati tedeschi e italiani. Si odono continue denotazioni per tutte le strade. La popolazione vive in grande trepidazione. Vi sono morti e feriti da ambo le parti. 11 – I tedeschi hanno il sopravvento e disarmano i nostri soldati rimandandoli a casa”.
Le rappresaglie continuarono. Sono queste le pagine più buie: quelle della caccia all’uomo, delle deportazioni, dei colpi alla nuca. Vanno però rilette con la consapevolezza delle responsabilità e soprattutto con i sentimenti che nel dopoguerra portarono Nettuno al gemellaggio con Traunreut. I nostri amici della Baviera, che ci accolgono a braccia aperte nella loro modernissima cittadina (sorta una sessantina di anni fa proprio nel punto in cui Hitler