SIMPOSIO
LA SPERANZA
Molti gli scritti su svariati argomenti inviati in questo periodo. Da tutti alla fine emerge la solitudine che la ricorrenza di questi giorni d’inizio novembre rende più profonda per la memoria anche dei nostri cari morti. È un momento che mette alla prova la nostra capacità di adattamento e che ognuno di noi manifesta in modo diverso. Identico però è in tutti il tono sotteso di speranza che in un futuro prossimo qualcosa possa mutare per ritornare ad incontrarci.
Giuliana
«Qualcuno è morto più solo degli altri in questo tempo triste: qualcuno è rimasto solo anche dopo la morte, sepolto in questo cimitero di M., su un terreno incolto, in un area destinata a chi non ha familiari. Come Affortunata, croce 17; come Rosa… Di loro resta un sacco con un pochi oggetti, se mai si presenterà qualcuno a riprenderlo».
Alessandra Coppola
ROMA CAPITALE D’ITALIA
Fine del potere temporale papale
2ª parte
di Francesco Bonanni
Il Potere Temporale dei Pontefici romani iniziato nell’ultimo periodo della Dominazione longabardia, con la nota Donazione di Sutri, si è concluso con la conquista di Roma da parte del Regio esercito del giovane Regno d’Italia. Conquista simboleggiata, anche con una certa dose di retorica, dalla celebrata “Breccia di Porta Pia”.
Per Potere temporale dei papi si intende quel periodo storico in cui il Sommo Pontefice Romano, oltre ad esercitare il Potere Spirituale (cioè il governo delle anime) ha anche assunto il ruolo di Sovrano Assoluto su un territorio, che nel tempo si è andato ampliando, col nome di Stato della Chiesa o Stato Pontificio. Ma nell’Alto Medioevo (dal 476 alla fine Primo Millennio) tale potere era ancora in parte condizionato da quello Imperiale.
313 Editto di Tolleranza
Proclamato da Costantino per pura opportunità politica. È il “Primo Compromesso Storico”. La sua adesione al Cristinesimo non fu, come una certa vulgata ha tramandato, un atto di fede ma una pura operazione politica che gli servì innazitutto per legittimare il suo Potere di Imperatore. Nel III secolo, infatti, l’Impero Romano era afflitto da due grandi problemi: l’invasione dei Barbari e soprattutto le incerte regole per la successione al Trono. Anche se in teoria questa era di competenza del Senato, nelle realtà era decisa dalle Legioni che imponevano i loro generali i quali però spesso duravano molto poco; fino alla loro eliminazione fisica da parte di un altro condottiero concorrente a sua volta sostenuto dalle proprie Legioni. Basti pensare che nell’arco di settanta anni si avvicendarono al potere addirittura trentatrè Imperatori di cui ben trenta finirono assassinati. Per questo, con tale compromesso. l’Imperatore Romano con molta spregiudicatezza, non solo intese acquisire il consenso del Popolo Cristiano, che già a quell’epoca aveva raggiunto una notevole consistenza numerica, ma cercò di conseguire quella legittimazione al suo potere che altrimenti non avrebbe mai avuto.
Proseguendo nella antica tradizione romana poi volle di fatto porsi alla guida religiosa della Chiesa Cristiana.
Difatti fu lui a covocare e a sovrintendere nel 325 il Concilio di Nicea. Ma affinché tale adesione potesse essere funzionale ai suoi obiettivi era necessario che tutto il Popolo Cristiano fosse unito da una comune credenza nei principi cardini della nuova religione.
E ciò l’ottenne con la formulazione del “Credo”, che oltre ad essere una preghiera, è innazitutto un “Atto di Fede che impegna tutti i credenti, i quali all’epoca erano spesso divisi sui diversi temi di Fede, causa di aspri e frequenti conflitti religiosi. Costantino in effetti era uno spietato uomo di potere che usurpò il Trono assassinando il suocero e due cognati. Poi sulla sua coscienza pesò l’omicidio del suo primogenito Crispo e della seconda moglie Fausta. Inoltre la spacciata leggenda della sua visione: “In hoc signo vinces”avvenuta prima della nota battaglia di Saxa Rubra, conclusa poi vittoriosamente a Ponte Milvio, è puramente inventata e tramandata con successo da una certa agiografia che fa capo al Retore cristiano Lucio Cecilio Lattanzio, vissuto tra il terzo e quarto secolo dopo Cristo.
In conclusione malgrado tutto, anche se dubbia è da considerarsi la sua conversione al Cristianesimo avvenuta in “Articulo mortis”, Costantino in effetti trasformò l’Impero Romano in un Impero Cristiano.
IL «NULLA ETERNO»
FOSCOLIANO E L’ALDILÀ
di Maria Grazia Vasta
«Non so dove vanno le persone quando scompaiono, ma so dove restano…»
da, Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry
EROS e THANATOS, luce e buio, bene e male, vita e morte…la nostra esistenza è permeata dal barcamenarci davanti alla contrapposizione degli opposti, la quale ci porta alla necessità di fare precise scelte personali o di accettare gli esiti del “fato” o del “caso”, oppure di cogliere o no le varie opportunità che ci si presentano. Sta a noi essere sballottati dagli eventi o tentare con impegno di condizionarli positivamente. Va da sé che senza un aspetto non potrebbe esistere l’altro. Non apprezzeremmo davvero la vita, ad esempio, se non rischiassimo la morte a causa di una pericolosa malattia; non noteremmo le sfumature multicolori di un tramonto se non ci fossero nuvole a coprirlo; non ci accorgeremmo di essere fortunati o felici se lo fossimo sempre stati. Ma c’è una realtà che, come il buio, rifiutiamo e che sfugge al nostro controllo, a meno che non agiamo per favorirla: la morte. In occidente, dal cristianesimo in poi, gli si associa il nero, il “non colore”, usato quasi dovunque nel periodo di lutto. In alcuni paesi asiatici come il Giappone si usa il bianco. Nell’Egitto dei faraoni, invece, il sarcofago era rivestito di rosso (come il sangue) e lo stesso colore era usato per gli abiti del defunto e dei parenti nell’antica Roma. Identici però sono il senso di oscurità e di vuoto incolmabile: per alleviare la pena che il decesso porta con sé e per il bisogno di credere in un “altrove”, l’uomo comune e anche l’artista si sforzano d’immaginare comunque un oltretomba illuminato e abitato, che siano stelle o fiamme, angeli o demoni, e molte religioni caldeggiano questa convinzione, che non tutto sia finito lì, in una tomba o in un’urna cineraria. La morte sembra meno tragica se si crede fermamente in una vita ultraterrena in cui un giorno rivedere chi abbiamo perduto. Sul piano filosofico è più malinconica la visione di coloro che seguono le dottrine materialistiche sulla vita, che negano una continuità trascendente dopo la morte e trovano conforto solo nel vivere sociale e nella cultura (vedi il sensismo settecentesco). Come si evince nel famoso carme “Dei Sepolcri” di Ugo Foscolo (“All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne/confortate di pianto è forse il sonno/della morte men duro? (...) qual fia ristoro a’ dì perduti un sasso/che distingua le mie dalle infinite/ossa che in terra e in mar semina morte?”), in cui s’indica l’importanza della pietà nel culto dei morti e dell’eredità spirituale dei grandi uomini estinti a consolare l’umanità. La tomba diventa un rilevante simbolo laico della memoria, per onorare degnamente i defunti, contro il napoleonico Editto di Saint Cloud (12 giugno 1804), che poneva i cimiteri fuori dalle mura cittadine omologando le pietre tombali. Più intima riflessione del poeta nel sonetto “Alla sera”, dove il finire del giorno concilia la meditazione sulla vita, diventando metafora del “nulla eterno”, in cui la fatica di vivere e l’infelicità insite nell’uomo cesseranno definitivamente portando con sé un’agognata pace interiore.
Forse perché della fatal quïete
Tu sei l'immago, a me sì cara vieni
O sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni,
E quando dal nevoso aere inquïete
Tenebre e lunghe all'universo meni
Sempre scendi invocata, e le secrete
Vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torm
Delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
Quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.
Tutti ci auguriamo che dopo la morte non ci sia solo un nero abisso, che i nostri cari trovino la pace, la serenità che non tutti possono provare su questa terra e che ora stiano meglio in cielo che in questo mondo pieno d’affanni. E sebbene ci abbiano lasciato nella tristezza, speriamo che tornino a trovarci dall’aldilà come angeli benevoli che assistono e confortano, certi che per sempre rimarranno nel cuore e nei ricordi, come interlocutori privilegiati, come desiderati visitatori nei sogni agitati delle nostre notti, come componenti ineliminabili della nostra anima.
«Coloro che amiamo e che abbiamo perduto non sono più dov’erano, ma sono ovunque noi siamo»
(S. Agostino)