quella Pisana, per cui fudefinito col termine spregiativo di “Conciliabolo”, volendo in tal modo significare il suo carattere illegittimo. Difatti il 5 giugno il Concilio fu emessa la sentenza di deposizione dei due Pontefici che in quella sede vennero dichiarati eretici e scismatici.
Papa Alessandro V
Nel successivo 26 giugno i Padri Conciliari elessero Papa col nome di Alessandro Vil Cardinale Pietro Filargo.
Figlio di genitori ignoti, entrò nell’Ordine Francescano e per le sue doti intellettuali fu ammesso alle Università di Parigi e di Oxford. Nel 1405, nominato Cardinale da Papa Innocenzo III, si prodigò con notevole impegno alla riunificazione della Chiesa, lacerata dalla disputa dei due Pontefici, per cui fu uno dei promotori della convocazione del Concilio di Pisa. Ma proprio per tale iniziativa Gregorio XII gli tolse la dignità sia di Arcivescovo che quella di Cardinale. Durante il suo breve Pontificato (durato solo dieci mesi) allo scopo diottenere il riconoscimento da parte della Francia conferì al Duca Luigi II d’Angiò l’Investitura del Regno di Sicilia. Inoltre promise una serie di riforme ecclesiastiche e la concessione di alcuni benefici soprattutto a favore degli Ordini Mendicanti.La morte lo colse all’improvviso mentre era a Bologna.
Inamovibili i Papi rivali
che rimasero ostinatamente fermi nelle loro posizioni convinti della assoluta legittimità della propria elezione.
Tale situazione si protrasse per un periodo lungo diquasitrent’anni nel quale ciascun Papa ebbe i suoi successori. Nella Chiesa di Roma alla morte di Urbano VI si erano avvicendati ben tre Pontefici: Bonifacio IX, Innocenzo VII e Gregorio XII, mentre nella Chiesa di Avignone a Clemente VII era succeduto Benedetto XIII. La crisi trovò una soluzione quando il successore di Alessandro V il pisano Giovanni XXIII, di concerto con l’Imperatore Sigismondo di Lussemburgo, accettò di convocare un nuovo Concilio nella città di Costanza. Quindi Sigismondo emise un Editto con il quale invitava a partecipare al Concilio non solo tutti i Principi del Sacro Romano Impero, ma anche lo stesso Sovrano di Bisanzio Manuele II Paleologo. L’Assemblea Conciliare, grazie all’autorevole sostegno fornito dall’Imperatore, affermò chiaramente la superiore autorità del Concilio sul Potere Papale. Dopo quattro anni di lavori l’11 novembre del 1417venne eletto con una maggioranza che rasentò l’unanimità il Cardinale Oddone Colonna che assunse il nome di Martino V. Con l’elezione di Martino V si concluse la crisi che per quattro anni aveva dilaniato la Chiesa Cattolica e Roma fu riconosciuta la naturale Sede del Pontefice.
CURIOSITÀ NELLA POESIA/6
di Sergio Bedeschi
IL VIRGILIO DELLE GEORGICHE
Nel cominciare a parlare di Scienza e Tecnica nel mondo della poesia, ditemi voi se c’è qualcosa di più adatto e di più bello che partire da Virgilio. Sì, proprio da Publio Virgilio Marone quel mantovano trapiantato tra Napoli e Roma che poi, su commissione di Ottaviano, si trovò a celebrare le glorie e i fasti della gente Giulia e perciò dello stesso Ottaviano Augusto e di tutto l’Impero nascente. Che vi devo dire? Personalmente sono sempre stato convinto che lui abbia dovuto scrivere quel poema epico che è l’Eneide piuttosto controvoglia. In fin dei conti, anche se era figlio di benestanti proprietari terrieri, Virgilio era uno spirito “contadino”, amante della campagna, delle cose semplici, poco propenso alle preoccupazioni della politica e della storia. Ed è per questo che io ho sempre considerato le Bucoliche e le Georgiche (e non l’Eneide) come l’espressione della sua anima di poeta. Senza contare qualche altra cosina più maliziosa di cui, maliziosamente, non eviteremo di occuparci. Che l’abbia scritto un po’ di controvoglia starebbe a dimostrarlo anche il fatto che, mentre stava tirando le cuoia a Brindisi durante il suo viaggio di ritorno dalla Grecia, a soli 49 anni, supplicò gli amici fidati di distruggere la sua opera.
VERSI IMMORTALI
Sia come sia, mentre le Georgiche rappresentano un vero e proprio “manuale” tecnico sulla cura della campagna e sull’uso degli strumenti agricoli, nelle Bucoliche Virgilio scatena tutto il suo spirito elegiaco dando vita a esametri di profondo lirismo. Come dimenticare gli ultimi due versi della Prima Egloga (le Bucoliche contengono dieci Egloghe) quando descrive la caduta della sera e della notte tra le valli di montagna? Belli, talmente belli che ve li proponiamo nelle due lingue perché, anche se di latino non sapete o non ricordate nulla, risuonano come musica del cuore:
… et iam summa procul villarum culmina fumant
maioresque cadunt altis de montibus umbrae.
… ma già, lontano, si leva dal sommo delle case il fumo
e cadono le ombre più grandi giù dagli alti monti.
Ma è con le Georgiche che salta fuori il contadino, anzi l’istruttore agricolo, il tecnico. Sentite un po’ dalle sue vive parole come comincia nella dedica all’amico Mecenate contenuta nella prefazione dove annuncia le sue intenzioni:
Che cosa renda abbondanti le messi, in quale stagione sia utile rivoltare con l’aratro la terra (1° libro), o Mecenate, e unire le viti agli olmi, quale sia la cura per i buoi(2° libro), quale trattamento si debba usare per allevare il bestiame (3° libro), quanta esperienza occorra per curar bene le sobrie api (4° libro), da qui (in poi) comincerò a cantare.
UN MANUALE PER L’AGRICOLTURA
E giù via, usando l’esametro come se niente fosse e scrivendo poesia gradevole e soprattutto interessante per i suoi specifici contenuti. Sapete che vi dico? Se amate la campagna o se solo avete un orto da curare, non snobbate le Georgiche considerandole soltanto uno sfogo poetico di vecchio stampo. Leggetele con attenzione e circospezione e ci troverete molto, tutto quello che vi serve per essere un buon contadino: l’aratura che non può prescindere da una buona conoscenza del terreno, l’uso dei letami, le modalità per difendersi dalle malattie o dalle erbe selvatiche, l’uso appropriato dei vari strumenti come il vomere o il pesante aratro ricurvo o le trebbie o le suppellettili di vimini. Insomma non gli scappa niente! Il massimo è forse raggiunto nel IV libro quando si impegna ad educarci su come allevare le api. Sentite cosa di esse ad un certo punto
… in base a questi segni, a queste prove, qualcuno ritiene che nelle api vi sia parte della mente divina, un soffio d’infinito,
Insomma il Manuale del buon coltivatore, ma insieme anche di un cantore delicato, raffinato, innamorato della Natura. Un animo pieno di poesia e spiritualità che piacque tanto a Dante da essere scelto come sua guida nel suo viaggio ultraterreno.
PRIAPO E IL VIRGILIO PICCANTE
Ma forse Virgilio non è tutto qui. Ce ne sarebbe anche un altro che di certo non ti aspetti. E come potremmo tacerlo? Si tratta del Virgilio dei Carmina Priapea, raccolta licenziosa e spesso oscena di versi libertini e scatenati, pieni di parolacce grasse e divertenti. Incredibile: tutte quelle parolacce in italiano di cui ci riempivamo la bocca a diciott’anni ritrovate qui in latino e latinorum! D’altronde il culto di Priapo era di gran moda ai tempi di Augusto con tutto quello che comportava. Forse una raccolta di cui il “nostro” è autore soltanto in parte, ma che, data la sua fama, gli si attribuisce volentieri per intero. Un Virgilio giovane, ancora acerbo e immaturo, di sicuro scanzonato, sfrontato e volgare fino al midollo. Io ne conservo una copia in latino con testo a fronte. E che vi devo dire? Ogni tanto me la rileggo e mi diverto. E soprattutto rimpiango che nelle scuole sia cosa del tutto ignorata per i soliti ridicoli falsi pudori. Probabilmente io (che fui condannato a ben nove anni di studio del latino senza mai davvero impararlo) l’avrei invece imparato quel latino con ben poca fatica e tra tante risate se qualcuno me l’avesse letto e insegnato quel Virgilio! Qualcuno ora mi dirà: ma che mai c’entra il Virgilio maestro dell’agricoltura con questo Virgilio malandrino e sporcaccione? Niente davvero. Ma, in tutta franchezza, come facevamo a nascondervelo? Ah, ah!
Rassegna Cinema d'autore 2021
a cura di Giancarlo Marchesini
Don Juan de Marco
domenica, 31 ottobre, ore 16.00
Don Juan
Per un lettore attento il titolo del film contiene già un certo numero di informazioni: Don Juanè evidentemente un grande amatore. Ma perché ha un cognome a metà strada fra lo spagnolo e l’italiano? Lo sapremo soltanto verso la fine del film, quando Don Juan si vedrà costretto a rivelare i particolari della sua vita.
La trama (o il poco che se ne può raccontare)
Marlon Brando è uno psichiatra che andrà in pensione fra pochi giorni. Johnny Depp (Don Juan, ovviamente) è il suo ultimo paziente. Salvato da un tentativo di suicidio, Don Juan comincia a raccontare una storia a metà strada fra il delirio onirico e la mania di grandezza. Lo psichiatra registra puntigliosamente le sue affermazioni e, contro l’opinione del primario del reparto e di tutti i suoi colleghi, rifiuta di usare gli psicofarmaci che potrebbero calmare il delirio del paziente. È una ricerca di verità a metà strada fra la psicoanalisi e un’indagine di polizia.
Sogno e realtà
Affiorano particolari credibili e incredibili. La comprovata ricetta investigativa di Sherlock Holmes (togliete l’impossibile e tutto quello che resta, per quanto improbabile è la verità) si rivela inefficace. Perché la realtà è intrisa di sogno e il sogno domina (o sembra dominare) sulla realtà. Alcune sequenze sembrano confermare le affermazioni di Don Juan, altre le smentiscono. Il tutto compone uno spettacolo in cui le doti attoriche degli interpreti si rivelano in massimo grado.
Una trappola per l’analista
Lo psichiatra crede e non crede, si sforza di mantenere intatto il proprio codice deontologico e finirà per prestare il fianco al delirio del paziente, pur mantenendo la propria integrità e onestà professionale. Ma è una trappola o una ricompensa? Lo sapremo soltanto alla fine.
Gli interpreti
Johnny Depp è l’istrione che tutti conosciamo. Dal giovane papà che cerca di salvare la figlioletta sequestrata (Minuti contati), a Edward mani di forbice, al capitano pirata Jack Sparrow, all’impacciato “detective” di SleepyHollow, al sinistro (ma non troppo) vampiro di Dark Shadows, al cinico antiquario de La nona porta. In questo film in particolare incarna un amalgama di artata sicurezza di sé e di connaturata (quasi genetica) debolezza.
Marlon Brando, beh, è Marlon Brando, un gigante del grande schermo. I suoi film sono stati visti da 800 milioni di spettatori, un primato ineguagliato nella storia del cinema americano. Ma non pensate al sex symbol de Il selvaggio o Fronte del porto, al Marco Antonio di Giulio Cesare, al maturo libertino di Last Tango, alla rinascita attorica de Il padrino, al colonnello Kurtz di ApocalypseNow. In questo film (uno dei suoi ultimi ma un vero guizzo di vitalità artistica) Marlon Brando mostra senza ritegno l’obesità patologica che lo ha afflitto negli ultimi anni di vita. Diviene un personaggio “umano” con i suoi affetti, le sue debolezze, la sua stanchezza professionale e la speranza in un futuro migliore.
La conclusione
Non ve la dico. Sarà una sorpresa. È la secchia d’oro alla fine dell’arcobaleno, il ricongiungimento di realtà e fantasia, l’affermazione che è lecito sognare. Sogno? Fantasia? Dipende da voi, da quello in cui credete e in cui volete credere. Buona visione.