Attilio Bello ci racconta la giornata del 6 maggio 1960 quando venne inaugurato il cimitero che ospita di 27.443 soldati germanici
I 60 anni del cimitero militare tedesco di Pomezia
Nei giorni scorsi esattamente il 6 maggio con il professor Antonio Sessa de “Il Pontino” e pochi altri amici delle Associazioni Militari di Pomezia, abbiamo voluto ricordare seppure quasi esclusivamente sui social e con una breve visita davanti al cancello, il 60° anniversario della inaugurazione del cimitero militare tedesco di Pomezia ove sono raccolti esattamente 27.443 soldati germanici caduti nell’Italia centrale durante la seconda guerra mondiale.
Chi scrive, con alcuni giovani amici studenti di Pomezia, ha avuto il piacere e l’onore di essere presente all’avvenimento della inaugurazione avvenuta nella mattinata primaverile del 6 maggio 1960 e ricorda con commozione le fasi della cerimonia quando autorità italiane e tedesche procedettero al rito civile e religioso della inaugurazione, in ricordo dei defunti. E’ per il sottoscritto particolarmente gradito ricordare brevemente quell’avvenimento, rimasto scolpito in modo indelebile nella memoria.
Al di là della cerimonia, ricorda che la vera inaugurazione era stata già data in quella mattinata dai tanti congiunti venuti e ritrovare i figli, i mariti, i fratelli, gli amici che tanti anni prima lasciarono per l’ultima volta i luoghi e la casa dove avevano vissuto. La cerimonia ufficiale poi è iniziata verso le ore 11,00, ma quando la Banda Musicale dell’Arma dei Carabinieri - la Fedelissima - ha intonato l’Inno nazionale italiano e del Deutschland uber alles, una gran parte delle piccole lapidi di pietra grigia aveva ricevuto una corona o un fiore.
Il cimitero ancor oggi, che è stato rinnovato dalle annuali manutenzioni che militari e volontari civili compiano ogni anno sotto la guida del direttore Filippo Contino, è bello nella sua semplice e serena tristezza. Al centro esiste un solo monumento artisticamente degno ma non vistoso, realizzato dall’artista tedesco Schmoll Eiseuwerth, che rappresenta quattro grandi figure di soldati e familiari dolenti e rammenta il sacrificio dei morti e il dolore di chi li amò.
Il resto è un vasto campo chiuso da un muro di travertino e contornato da querce e pini mediterranei, tagliato da lunghe aiuole e da vialetti che da lontano appaiono come solchi preparati per la semina. Le lapidi grigie, ora rispetto al passato rinnovate a fior di terra, portano il grado, il nome, la data della nascita e della morte di 27443 soldati. Quasi tutti giovani sui venti anni.
Fra quelle aiole si aggiravano quella mattina, uomini e donne di tutte le età: padri e madri ormai vecchi o vicini alla vecchiaia, ma anche vedove ancora giovani, ragazzi e ragazze che conoscevano il padre o il fratello solo attraverso una fotografia ingrandita. Alcuni avevano portato dalla Germania pallide coroncine di licheni sempreverdi, presi dai boschi dove i grenadieren, i gefraiter e gli unteroffizieren avevano giocato da bambini; altri avevano mazzi di fiori freschi acquistati dai fiorai di Pomezia. E piangevano.
Ancor oggi mi piace ripetere quando accompagniamo gli amici tedeschi di Singen con i quali siamo da ormai 46 anni gemellati, a visitare il Cimitero, che in nessun’altra terra il Soldato straniero riposa in pace come in Italia e in particolare a Pomezia.
Su quelle tombe è iniziato ben 46 anni fa il gemellaggio tra Pomezia e Singen.
Oltre la bandiera, la divisa e gli emblemi, qui il soldato curvo sotto lo zaino è stato visto sempre come il “figlio di mamma”. Prima di essere uccisi dovettero uccidere, perché dienst ist dienst – dicevano “il servizio è il servizio”.
Ma dal momento in cui il fucile è caduto dalle sue mani, il Soldato dal nome incomprensibile, rimane nel ricordo come un giovane dal sorriso timido che, appena ricevuta l’ospitalità di una famiglia, si affrettava a mostrare la fotografia di mamma e papà, della moglie e dei bambini lasciati in una casa su cui incombevano giorno e notte i bombardamenti. E spesso aggiungeva alla fotografia un commento che tutti gli italiani avevano imparato a capire: Kaput alles caput.
Così li ricordano alcuni abitanti di Pomezia ancora viventi, che da quel 6 maggio considerano il Cimitero come cosa loro, affidata alle loro cure, e quel giorno erano venuti in parecchi a salutare in silenzio quegli uomini e quelle donne dal viso rugoso che avevano visto giovani nelle fotografie di tanti anni prima.
Poi sono arrivate le autorità, e l’assessore di Pomezia Pietro Bassanetti in rappresentanza del sindaco Renato Marconi e dei cittadini tutti di Pomezia ed Ardea si è seduto accanto al ministro della difesa Giulio Andreotti, al ministro tedesco Franz Josef Straumb, al Cardinale in rappresentanza del Vaticano che per molti anni aveva curato la ricerca delle salme disperse per tutte le terre dell’Italia Centrale, all’ambasciatore Tedesco in Italia dottor Manfred Klaiber, e agli alti Ufficiali Italiani.
All’inizio della cerimonia ha parlato subito il Presidente del servizio per le onoranze ai caduti Germanici sottolineando come il Cimitero rappresentava come quelli che sui vari territori raccolgono i caduti Italiani, Americani, Inglesi, Francesi, Polacchi, sta a testimoniare una ininterrotta, secolare serie di battaglie nelle quali non migliaia, ma milioni di esseri umani hanno sacrificato la vita. E tutto questo a Pomezia in un paesaggio dove sorge la Città Eterna e si staglia la cupola di San Pietro, della massima Basilica della Cristianità, di quella cristianità alla quale è stato annunziato, nella notte in cui nacque Cristo, il messaggio della pace sulla terra. E al ricordo di un così alto messaggio di vita esortano le tombe, al desiderio impresso nei cuori degli uomini da Dio stesso, di una perpetua pace che affratelli tutti gli abitanti della terra, di una reciproca comprensione fra i popoli, generata dalla buona volontà di tutti, che metta fine alle guerre e alle morti sui campi di battaglia.
Poi è stata la volta del ministro italiano della difesa Giulio Andreotti il quale ha sottolineato testualmente, come riportato nei suoi diari, “benché questa cerimonia consacri oggi ufficialmente il Cimitero di Pomezia, è noto che già da lungo tempo una fervida e generosa testimonianza della pietà Cristiana è stata offerta in questo luogo dal nostro popolo e in particolare dalla popolazione di Pomezia, che con pia comprensione, con tenerezza e generosità, ha contribuito in questi anni alla cura di queste tombe, sostituendosi spesso alle famiglie lontane nelle preghiere per tutti i Caduti che qui hanno trovato pace. Ogni cimitero straniero posto sul nostro territorio è confortato dal rispetto del popolo Italiano. E sono le madri, le spose e gli orfani dei nostri Caduti, le cui spoglie sono rimaste al di là delle nostre frontiere, che particolarmente vedono e sentono esaltare, in questa reciprocità di preghiere e di riti, le speranze per cui oggi lavoriamo: basta guardare il volto di queste donne e di questi giovani per essere certi che il fine in cui gli uomini sperano, anche quando più sembrano scatenati gli odi e le rivalità, è sempre il medesimo un raggio di amore e di pace per tutta l’umanità”.
Cose analoghe hanno detto poi in altra lingua il Ministro tedesco venuto in rappresentanza della Repubblica Federale di Germania, una gentile signora anziana che ha parlato per tutte le madri tedesche, il sacerdote cattolico e il pastore protestante che hanno unitamente pregato per tutti i caduti.
Al termine, la banda nazionale dell’Arma dei Carabinieri ha intonato le note larghe e solenni di Ich hatt einen kameraden, il famoso canto che da sempre ha accompagnato la sepoltura dei Caduti tedeschi in innumerevoli guerre.
Infine, sul cancello d’uscita del cimitero i congiunti davano un ultimo saluto alle aiuole costellate di lapidi, prima di tornare alle loro case con animo sereno.
Adesso erano certi che i loro cari, a Pomezia, dove c’è tanto sole e tanta luce, riposano in pace.
Attilio Bello