OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi
di tutti gli interessati
I NOSTRI MODI DI DIRE
Torniamo a bomba
di Giancarlo Marchesini
Tornare a bomba è una tipica espressione fiorentina che ricorda un gioco che i ragazzi (i “cittini”) facevano nelle piazze medioevali. C’erano due bande, guardie e ladri (birri e ladri in vernacolo) che si inseguivano fino alla resa di uno dei gruppi. Insomma, un’acchiapparella, come l’ho sentita definire a Roma. Per trarsi in salvo, i concorrenti potevano raggiungere un punto, definito bomba, (la tana) in cui erano intoccabili. E quando ci arrivavano urlavano “Bom!”. L’urlo di vittoria si è poi trasformato nella parola bomba che indica l’esultanza per la salvezza.
C’è poi un’altra etimologia che riguarda il parlamentare italiano Silvio Spaventa che voleva a tutti i costi di discutere un piano edilizio riguardante il comune di Bomba. Di fronte all’ostruzionismo dei suoi colleghi, Spaventa diceva sempre: “Torniamo a Bomba”. Lo storico della letteratura Luigi Russo attesta l’uso di tornare a bomba nella Mandragola di Machiavelli che presta a Messer Nicia “un linguaggio particolarissimo, il più idiotistico e il più proverbiale fiorentino del tempo”.
Quale che sia l’etimologia di questo modo di dire diffuso soprattutto nelle terre, dove si parla «co ‘l mesto accento de la Versilia che nel cuor mi sta» (Carducci, “Davanti San Guido”) il suo significato è ben radicato nella nostra lingua. Nel corso di una discussione ci siamo lasciati prendere da altri aspetti della questione, eludendo il punto principale. Con assennatezza uno del gruppo dirà “torniamo a bomba”, non perdiamo di vista l’obiettivo del nostro incontro.
Perché vi illustro con tanti dettagli questo modo di dire? Perché anch’io, in un certo senso, ho deciso di tornare a bomba. Dando un’occhiata agli articoli che ho pubblicato nell’Osservatorio Linguistico in questi ultimi tempi, mi accorgo di aver seguito un filone moraleggiante, anche con una certa saccenteria. Certo, non si può fare a meno di prendere posizione contro certe brutture della nostra vita sociale e io l’ho fatto prendendo il destro da osservazioni linguistiche. Mi sono, in un certo senso, fatto prendere la mano.
Ecco, guardate mi sono appena servito di due espressioni idiomatiche prendere il destro e lasciarsi prendere la mano e, forse abusando della vostra pazienza, voglio approfondire questa tematica: la prima delle espressioni citate identifica un’opportunità, un’occasione propizia (uno dei significati di destro è appunto opportuno, propizio). La seconda è un po’ più complessa da spiegare. Prendere la mano significa diventare esperti in un’applicazione manuale. È un’esperienza che si fonda soprattutto sulla pratica, sul vissuto. Ma, farci prendere la mano ha un significato diverso: in equitazione c’è un momento in cui il fantino non riesce a governare la sua cavalcatura, che prende il sopravvento e decide di agire autonomamente, correndo a perdifiato o rompendo il trotto. Visto che la mano identifica il controllo dell’animale, farsi prendere la mano, significa fallire nel proprio intento.
I prossimi “Osservatori” saranno quindi dedicati alle numerose e suggestive espressioni idiomatiche della nostra lingua. In passato abbiamo già esaminato più modi di dire, ma la ricchezza dell’italiano mi spinge a “battere il ferro finché è caldo” (toh, un’altra espressione idiomatica).
I modi di dire appartengono per così dire al nostro DNA, lo specificano e lo mettono in evidenza. Essi nascono dalla fantasia che riesce a condensare in una sola frase, una situazione complessa. Questa fantasia si basa essenzialmente sul lessico della nostra lingua. Ciò spiega perché i modi di dire variano da una lingua all’altra, anche se le tematiche sono simili.
Cito soltanto alcuni dei modi di dire che tratteremo nelle prossime “puntate”: “Per filo e per segno”, “Stinco di santo”, “Troppa grazia Sant’Antonio”. Sarà divertente ricostruire l’etimologia delle singole espressioni con esempi dal vivo. Il tutto per renderci più consapevoli del modo in cui parliamo e ci esprimiamo.
Insomma, torniamo a bomba!
SUL
PRINCIPIO
DELLE
COSE
a cura di Adriana Cosma
ARTI DIVINATORIE O
ARTI MANTICHE? /1 (cenni)
«Le manifestazioni nel cielo così come quelle
sulla terra ci danno segni. Cielo e terra, ambedue mandano segni univoci, ognuno per proprio conto, ma non indipendentemente, perché cielo e terra sono interconnessi: un segno cattivo in cielo
è anche cattivo in terra un segno cattivo in terra
è anche cattivo in cielo!»
Tavoletta di una scuola teologica a Babilonia riportato da Giovanni Pettinato in Angeli e demoni a Babilonia - magia e mito nelle antiche civiltà mesopotamiche.
Per antichissime credenze esistono “passaggi” dal mondo conosciuto al mondo sconosciuto e persone speciali “indovini” possono attraversarli interpretando “segni-simboli” che si trovino in natura (es: interiora animali, terra, pietre, ecc.) oppure costruiti dall’uomo (interpretazione di eventi celesti)
Sono manifestazioni religiose e pagane che si differenziano sia nel tempo storico che nelle diverse civiltà.
È una dinamica mentale dell’uomo che mira a padroneggiare il suo destino interpretando dei segni come eventi naturali, ma anche come dei simboli che dai più semplici ai più complessi possono rappresentare percorsi attraverso i quali, da un lato scoprire i segreti dell’universo e dall’altro le vie da percorrere per capire l’orientamento del proprio futuro sia in veste matematico filosofica, che in veste mistica: i KING cinesi, le RUNE celtiche, la KABALA ebraica, lo ZODIACO babilonese, la CARTOMANZIA con particolare riferimento ai tarocchi.
King, Rune, Tarocchi sono alcuni esempi di segni simbolici per “CONNETTERSI” con l’universo e capire il passato, interpretare il presente e predire il futuro.
Ognuna di queste arti mantiche è strettamente legata alla cultura ed alla storia della civiltà in cui si sono sviluppate e ne rappresentano l’evoluzione culturale.
L’ALFABETO DEL DESTINO
Le Rune
La leggenda scandinava narra che Odino scoprì le Rune, quali sorgenti magiche di ogni potere e sapienza, dopo essere rimasto appeso a testa in giù a un ramo del Frassino Yggdrasill, l’albero cosmico, per nove giorni, senza bere e senza mangiare. Divenne così dio veggente, capace di leggere le Rune.
La trinità ODINO THOR FRIER,
il dio sciamano salvatore dell’umanità nell’universo dell’albero Ygdrazil si acceca di un occhio per donare all’uomo la conoscenza sacra e per capire le vie della Creazione Umana
Può comprendere le vie della salvezza umana, poste alla base dell’albero cosmico Yggdrasill leggendo da entrambi le direzioni, le rune intarsiate dalle Norme (parche greche) che scrivono il destino di ogni uomo.
LE RUNE NORRENE
in seno alla civiltà norrena ed alla sua mitologia religiosa.
Il termine Rune deriva dal norreno run-, che significa “segreto, sussurro”, alludendo al fatto che le Rune ci sussurrano al cuore “segreti”, ci svelano visioni.
Le Rune vengono utilizzate/interrogate per scopi pratici; oppure come strumento di divinazione per rispondere ai nostri quesiti.
Il momento di lettura delle Rune deve essere un momento meditativo, di profonda connessione con il divino in noi.
Interrogando le Rune, stiamo aprendo un dialogo con la parte più sacra e antica che dimora in noi stessi, la parte che conosce già ogni cosa ed è collegata al sapere del Cosmo.
(continua sul prossimo numero)