Senza freno e con i risultati discutibili la politica del presidente Trump
Se mi arrabbio ti dazio
Fallito il suo progetto ambizioso di diventare Papa, il Presidente Trump ambisce al premio di consolazione e cioè al Premio Nobel per la Pace. Non mi meraviglierei se vi riuscisse considerando il grado di politicizzazione del prestigioso trofeo che è stato attribuito anche ad Obama, dopo le tante guerre che ha alimentato, “per i suoi straordinari sforzi per rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli”. Ho vissuto alcuni anni negli USA, ho speso lustri della mia vita professionale nell’ambito di organizzazioni disegnate ad immagine delle strutture internazionali pubbliche americane e conosco le metodologie che trasformano un ipotesi di “governo” in un programma operativo e debbo ritenere che ogni singolo atto, ogni parola pronunciata, ognuno delle decine di ordini esecutivi, siano il frutto del lavoro di team di analisti e di tecnici che ne hanno elaborato tutte le varianti e tutte le ipotesi prima di diventare il “verbo” del Presidente.
Ora le ipotesi sono due: o i “think-tank” della Casa Bianca sono stati inondati di Fentanyl ed i suoi tanti “advisor” vagano come zombi nei corridoi dei palazzi del Governo, oppure il Presidente considera i suoi collaboratori ed il resto dell’umanità alla stregua degli avventori della locanda del Marchese del Grillo. Devo purtroppo protendere per questa seconda ipotesi e concludere che le altalenanti e distruttive decisioni del Taycoon siano il prodotto della sua mente che, secondo la legge attualmente in vigore negli Stati Uniti, non è stata nemmeno verificata, sul piano sanitario, in occasione della sua elezione.
Se quello che esibisce nei suo ridicoli cappellini è il suo programma di governo mi pongo una domanda: come si fa a “far diventare l’America grande ancora”? imponendo dazi come una clava pronta a punire i cattivi ed a risparmiare i buoni? raggiungendo due scopi: rendere i prodotti importati più cari per gli americani e danneggiare chi li produce; per accorgersi poi che le grandi produttrici di tecnologia americane sono state delocalizzate in Cina ed in India ed ora i loro prodotti devono pagare dazi esosi per essere immessi negli USA. Si fa tornare grande l’America ripudiando la storica amicizia degli Stati Uniti con l’Europa che rappresenta la madrepatria di tanti americani; il nonno di Trump, Friedrich Trumpf, era tedesco e sua madre, Mary Anne MacLeod, era scozzese, danneggiando irrimediabilmente quel legame storico e politico che è stato il presidio di democrazia e di pace per ottanta anni. Danneggiando anche lo strumento che quella pace ha garantito che è l’Alleanza Atlantica.
Il giorno 10 settembre un vero e proprio attacco militare, un assaggio o un test delle capacità di reazione occidentale, da parte della Russia, è stato portato nei confronti di un membro della NATO, la Polonia, ed il Presidente USA, nazione leader dell’Alleanza, ha commentato ”Che succede con la Russia che viola lo spazio aereo polacco con i droni?. Frase da bella addormentata nel bosco. Si rende l’America piu grande ancora andando a ricevere un ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra con tutti gli onori per esserne palesemente preso in giro nelle aspettative di pace in Ucraina?
Gli osservatori che la sanno lunga dicevano: Trump blandisce Putin per allontanarlo dalla Cina ed il risultato è che, a Tianjin, al vertice della Shanghai Cooperation Organization, erano presenti una ventina di stati, rappresentanti 4 miliardi di persone e la politica di Trump è riuscita a mettere insieme nemici di sempre come India e Cina ed India e Pakistan. Non è irrilevante che insieme alla Russia, l’India, la Cina ed il Pakistan ci fosse anche la Turchia membro fondamentale dello schieramento NATO.
Insomma se fare tornare l’America grande ancora significa sconquassare gli assetti e gli equilibri che hanno garantito la democrazia nel mondo libero, Donald Trump si sta rivelando un grande Presidente. Se invece il suo intento è quello di difendere la pace e la democrazia nei paesi dell’occidente libero, allora qualcuno deve fermarlo. Magari non con la modalità con cui sono stati fermati suoi illustri predecessori come Lincoln, Garfield, McKinley e Kennedy, ma con strumenti degni di quel grande popolo che resta il popolo americano, che, comunque giova ricordare è composto da cittadini che, in maggioranza hanno dato incarico di far tornare l’America alla sua grandezza storica ad una persona che aveva dato segni chiari di squilibrio politico stimolando l’insurrezione del 2021, con l’attacco al Congresso che stava ratificando la sua sconfitta elettorale. Chi potrà fermarlo prima che distrugga l’ordine costituito e l’economia mondiale? I parlamenti sono nelle mani del suo partito.
La Magistratura ci sta provando ma ha tempi lunghi. La stampa, il quarto potere, subisce quotidiani attacchi da parte del Presidente. Il popolo americano, che ricordiamolo verrà chiamato alle urne per l’elezione parziale di “midterm” tra oltre un anno, potrebbe costituire elemento calmierante attraverso sondaggi negativi. Forse potrà fermarlo la “Borsa”, il tempio della economia made in USA, con forti risultati negativi. Insomma il Presidente degli Stati Uniti sta attuando la più grande opera di smantellamento della stabilità dell’Occidente e sta incutendo il terrore con le sue minacce economiche; tutti gli storici alleati occidentali ne temono l’ira funesta e dovranno essere gli americani, le loro leggi, i loro strumenti di democrazia a fermarlo. Sono certo che una grande democrazia ha gli anticorpi necessari per fermare un personaggio come Donald Trump.
Sergio Franchi
La vista delle gialle chiome dei pini provoca tristezza
La pineta che muore
Mentre il tempo scorre ai ritmi di una cronaca convulsa nessuno sembra accorgersi di un dramma esistenziale che si sta lentamente ma inesorabilmente consumando nei nostri litorali, una pandemia più intensa, in termini di perniciosità, del gravissimo dramma sanitario che è stato il Covid 19. Un male, che appare per ora incurabile, sta seccando uno dopo l’altro tutti i meravigliosi esemplari di Pinus pinea, il compagno di tanti ricordi, il tetto di tanti campeggi, uno degli alberi piu caratteristici delle coste del nostro Paese.
I bollettini medici si esprimono in una lingua incomprensibile nello stilare una diagnosi che parla di funghi, di insetti e di altri patogeni ma non indicano una cura; non sembra che vi sia all’orizzonte una soluzione fitosanitaria oltre all’abbattimento degli esemplari colpiti con le loro chiome gialle e secche. Io ne misuro l’aggressività ogni volta che passo davanti alla pineta della Gallinara che appare inesorabilmente colpita: tutta la pineta anche se, per ragioni personali io mi limito ad osservare quella del parco pubblico.
Vi ho speso una quindicina di anni da quando facevo parte di Legambiente e ne ho vissuto le vicissitudini dell’altalenante evoluzione del fenomeno sempre nella speranza di salvare quella pineta.
Da anni opera un comitato da me fondato con l’unico scopo di far guarire e di valorizzare il parco di Lido dei Pini e l’incontro, qualche anno fa, col Prof Paolo Gonthier dell’Università di Torino, che proprio in questa pineta ha condotto esperimenti nel passato, aveva aperto i cuori alla speranza. La sua tesi era che il male è causato dall’azione combinata di un blastofago (una specie di coleottero) e di una muffa che si propaga da sistema radicale a sistema radicale; tanto che mi lasciò una sua pubblicazione che descriveva un protocollo per isolare un esemplare dal suo vicino al fine di interrompere il contagio.
Lo trasmisi al comune di Anzio tradotto in italiano ma non se ne fece niente e forse non era efficace se è vero, come è vero, che i pini muoiono e continuano a morire un po’ ovunque; anche se la tesi del contagio per continuità sembra verificata dal procedere dell’azione pandemica. Purtroppo ho serie difficoltà anche nel distinguere una quercia da un acero per cui non azzardo ipotesi ma l’impotenza resta un sentimento frustrante.
Ho anche scritto al Prof Gonthier di recente ma la sua mancata risposta è la conferma che la scienza non può far niente per cui bisogna prendere atto della triste situazione e tirare avanti.
L’istituzione pubblica preposta all’individuazione di soluzioni anche alternative è obbligata a dare però risposte ai cittadini. Durante una recente riunione con l’Assessore Brignone, competente per il settore ambiente, il problema del rimboscamento del parco pubblico della Gallinara è stato discusso. Attualmente si sta definendo l’ipotesi di un rimboschimento progressivo ma l’aspetto finanziario è lontano dall’essere risolto. Passando sulla via ardeatina il triste scenario del bosco di pini che muore è solo lievemente alleviato dalle decine di alberelli che stanno cercando di crescere posti nella parte di pineta i cui alberi furono abbattuti in passato.
Quegli alberi sono il segno dell’amore che i cittadini nutrono per la pineta: furono in gran parte piantati in differenti occasioni su l’iniziativa e l’apporto del Consorzio Lido dei Pini che, negli anni anche come componente del Comitato Salviamo la Pineta, ha fatto da padre putativo del bene naturale. Il problema non appare di facile soluzione ma mi aspetto che di soluzioni concrete si cominci a parlare ed azioni concrete vengano poste in essere.
Quando l’Assessore vorrà prendere decisioni nel merito spero voglia sentire chi da anni lavora per il bene della pineta e non si limiti al tanto proletario ma poco efficace “parlare con le associazioni”, con associazioni che nessuno ha mai visto in pineta.
L’affido della Pineta per la sua gestione al Consorzio Lido dei Pini è l’unica soluzione valida per accendere una concreta attività di valorizzazione di quella che si chiamava pineta ma che si chiamerà il “Bosco della Gallinara”.
Sergio Franchi