SIMPOSIO
Giuliana Bellorini
Coordinatrice corrispondente
del salotto sede del Simposio
UN BUON INIZIO
Un sodalizio che si rinnova negli anni può solo essere un buon auspicio per continuare a collaborare. È dal 2018 che tra il Simposio e Tracce Cinematografiche è nata da subito una cooperazione attraverso lo scambio di esperienze, conoscenze e valori, finalizzato al confronto costruttivo di opinioni e di arricchimento reciproco.
Renzo Ridolfi, fotografo professionista ed appassionato cultore di cinematografia ha coinvolto i simposiasti nella sua passione ed è per questo che oggi vogliamo rendergli omaggio.
Giuliana
Mappa Stati appartenenti alle Nazioni Unite alla fine del 1945.
In blu chiaro sono indicati gli stati membri, blu scuro le colonie e le dipendenze degli stati membri e in grigio gli stati non membri
LA PACE NELLE NOSTRE VITE
L’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) nasce a New York nel 1945 con gli obiettivi di mantenere la pace e la sicurezza Internazionale, sviluppare relazioni amichevoli tra le Nazioni, promuovere migliori condizioni di vita e di progresso, e tutelare i diritti umani.
L’inosservanza e il disprezzo dei diritti umani portarono solo a tanti atti di barbarie come ad esempio la prima e seconda guerra mondiale, la Shoah, le bombe su Hiroshima e Nagasaki; ci si rese conto che per difendere la pace tra gli Stati bisognava tutelare la difesa dei diritti umani.
Fu la signora Eleanor Roosevelt (vedova del Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt) a presiedere la Commissione che il 10 dicembre 1948 delineò ed approvò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
“Tracce Cinematografiche Film Fest APS"
Che collabora con il “Simposio” da diversi anni con lo scopo di promuovere un dialogo interculturale, nell’incontro del 12 gennaio ha proposto una rassegna di cortometraggi di giovani registi provenienti da ogni parte del mondo con l'obiettivo di mettere in evidenza i luoghi in cui ogni uomo, donna e bambino cercano giustizia, opportunità e dignità uguali, senza discriminazioni. Opere selezionate per far riflettere su quanto sia importante sostenere chi lotta per il rispetto dei diritti umani affinché un giorno non ci siano più guerre. A condizione, però, che ognuno di noi s’impegni ad osservarli anche nel proprio ambiente.
CAPODANNO 2025
Un concerto e mezzo
di Giancarlo Marchesini
Introduzione.
Perché questo titolo inatteso? Perché ancora una volta, in occasione del tradizionale concerto di capodanno della Fenice, la Rai ci gratifica di uno spettacolo mutilato trasmettendo in diretta soltanto la seconda parte dell’evento veneziano. Nella sua interezza il concerto è durato un’ora e 55 minuti con una pausa di 20 minuti fra la parte orchestrale e quella operistica. La parte orchestrale, che prevedeva la Sinfonia n. 5 in do minore di Beethoven, non è stata trasmessa. La Rai, che si fregia dell’appellativo di “televisione di servizio pubblico” serve soltanto una parte del pubblico, gli amanti del melodramma.
Come italiano, cultore della musica e pianista da strapazzo, mi rifiuto di pensare alla musica unicamente come melodramma. Il più grande operista italiano, Giuseppe Verdi, ci ha fatto dono di struggenti “sinfonie” (Forza del destino, Nabucco, Vespri, Aida) che nulla hanno da invidiare alla musica orchestrale europea.
La Fenice: la direzione del concerto è stato affidata a Daniel Harding, la cui carriera non ha bisogno di presentazioni, dalla chiamata di Abbado come assistente presso i Berliner Philarmoniker (1996), alla direzione musicale dell’Orchestra di Santa Cecilia (2024). I meno giovani fra di noi ricorderanno una sua partecipazione al Festival di Sanremo 2013 durante la quale ha diretto brani della Valchiria di Richard Wagner e la Marcia Trionfale dell’Aida. È un vero peccato non aver potuto sentire la Quinta sotto la sua magistrale direzione.
A parte i passaggi più propriamente orchestrali in cui il direttore e l’orchestra hanno espresso un ineguagliato talento musicale, grazie anche al loro indiscutibile affiatamento (Harding è alla sua sesta edizione del Concerto della Fenice), la seconda parte del programma è stata piuttosto piatta, pur se illuminata dal tenore Francesco Demuro e dalla soprano Mariangela Sicilia. Eccellente la prestazione del coro con un efficace Din, don, suona vespero (Pagliacci di Leoncavallo) e una vera lezione di stile nell’esecuzione di Va’ pensiero. Emotivamente significativo il fatto che Harding cantasse insieme al coro, le battute di Va’ pensiero e Libiamo.
Sorprendenti gli intermezzi coreografici, con un corteo di ragazze che traversa ponti e calli per arrivare alla Fenice e una “sceneggiata” su un vaporino centrata sul gioco dei ruoli. Piuttosto straniante uno dei balletti in cui forme coniche che scivolavano sul palco hanno accompagnato, con gesti fortemente stilizzati, Libiamo, finale obbligato del Concerto.
Il pubblico ha comunque tributato un caloroso e lungo applauso a tutti gli artisti e La Fenice resta di pieno diritto un passaggio obbligato della cultura musicale europea.
Vienna. Il concerto di Vienna si è dipanato sull’onda di un ossimoro, quella della vita di Strauss padre che, da rivoluzionario, diresse clandestinamente una vietatissima Marsigliese il giorno dell’incoronazione di Francesco Giuseppe, per poi comporre la Radetzky-Marsch, simbolo stesso della restaurazione
Fra i due poli dell’ossimoro, la Marcia della libertà e la Radetzky-Marsch (entrambe di Johann padre), si sono avvicendati i valzer di Schani (Johann figlio) di cui ricorre il duecentesimo anniversario della nascita. La direzione affidata per la settima volta al maestro Riccardo Muti è stata straordinaria, rigorosa e al contempo creativa (per la prima volta è stata presentata un’opera giovanile della compositrice Constanze Geiger).
Nella Sala d’Oro del Musikverein sono riecheggiate le note di valzer, polche e ouverture di Johann Strauss e Josef Strauss, il cui Transactionen Valzer è stato scelto per commemorare i 30 anni dell’adesione dell’Austria all’Unione europea.
Come d’obbligo il Concerto di Vienna si conclude con due finali travolgenti: il Danubio blu e la Radetzky-Marsch. Un pubblico di maggiorenti, che forse hanno sborsato centinaia di euro per assistere a un evento che l’Eurovisione porta in tutto il mondo – e che noi, comuni mortali, abbiamo seguito nel salotto di casa – si sbraccia accompagnando con il tradizionale Klatschen, il battito delle mani, il gran finale di questa kermesse della musica colta che celebra le radici storiche del Vecchio Continente.
Indipendentemente dalle aspettative in parte deluse e dalle critiche puntuali, entrambi i concerti restano spettacolo, nel senso più profondo del termine: musica, poesia e arti figurative che riprendono, in modo contemporaneo, l’ideale wagneriano della Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale. Ideale sintetizzato dall’augurio finale di Riccardo Muti: “Pace, fratellanza e amore in tutto il mondo”.