SIMPOSIO
Giuliana Bellorini
Coordinatrice corrispondente
del salotto sede del Simposio
Una Biblioteca
Una vita di passione per chi ama i libri. Una biblioteca è il risultato di lunghe ricerche, di conquiste, di felicità e di dolori. Sì, perché far nascere e crescere una biblioteca è tutto questo e molto altro. È un amore che nasce immediato per un libro, due libri e poi senza più misura i libri diventano tanti: così nasce una biblioteca che con il tempo si trasforma in una miniera preziosa cui attingere e un campo di fecondità presente e futura, nel quale coltivare le proprie passioni. Un libro chiama un altro libro, una pagina può diventare una lunga sosta per meditare e può sfociare in un cambiamento nel percorso della vita. Biblioteche storiche raccontano di questa passione e della trasmissione del Sapere. Biblioteche aperte, luoghi di accoglienza spesso alla portata di tutti, biblioteche nate in contesti colti o inaspettati. Si pensi alla biblioteca del conte Monaldo papà di Giacomo Leopardi o a quella di Benedetto Croce, uomo senza laurea e nemmeno un diploma, che studiò per tutta la vita e volle custodire la sua immensa biblioteca, accanto alla sua dimora, acquistando un intero piano del palazzo Filomarino a Napoli e trasformandolo successivamente in Istituto dedicato ai giovani futuri storici per «…l’approfondimento della storia nei suoi rapporti sostanziali con le scienze filosofiche della logica, dell’etica, del diritto, dell’economia e della politica, dell’arte e della religione, le quali sole mostrano e dimostrano quegli umani ideali e fini e valori, dei quali lo storico è chiamato a intendere e narrare la storia».
Clemente Marigliani, motivato dallo stesso “credo”, ha dedicato la sua vita per rintracciare, recuperare, studiare e divulgare, per far conoscere a tutti noi una illustre storia fatta di Imperatori e grandi Papi, la Storia di Anzio e soprattutto di Roma.
Oggi, intere biblioteche del mondo sono racchiuse in pochi bytes e l’amore per la lettura si fa sempre più raro, consultare un libro è considerato da molti una perdita di tempo e una inutile fatica superabile da un facile click per avere risposte immediate alle proprie curiosità. E così, la memoria si fa sempre più labile e il nostro passato, nel bene e nel male, rischia di non insegnarci più nulla.
Giuliana
LA BIBLIOTECA
CLEMENTINA
COMPIE 50 ANNI
Con più di 10.000 volumi amorevolmente raccolti e catalogati, alcuni corredati dagli stessi saggi di Clemente Marigliani, in più di 50 volumi, una copia dei quali si trova nelle maggiori biblioteche del mondo, compresa la Biblioteca Apostolica Vaticana (volumi che vengono spediti automaticamente da una società specializzata). Per la maggior parte si tratta di testi scientifici utilizzati per l’approfondimento di opere di Collezioni private da pubblicare, o per l’organizzazione di Conferenze in occasione di Mostre (come l’ultima di Palazzo Chigi di Ariccia). Ma ci sono anche importanti corsi monografici dedicati alla Storia dell’Arte.
Come un doveroso riconoscimento all’illustre storia di Anzio, di Nettuno e di Roma, la maggior parte degli studi risalgono ai tempi dell’antichità romana, sino al XVIII secolo e alla Roma Rinascimentale dello Stato Pontificio. La Biblioteca vanta rari documenti e meravigliosi acquarelli riproducenti gli interni decorati dei palazzi imperiali come la Domus Aurea di Nerone.
Tutto questo compendiato dalla Storia dell’Arte dal XIV al XIX secolo, che si intreccia in lezioni approfondite ed affascinanti, coinvolgenti per chi ha avuto il privilegio di seguirle. E, come tutti i grandi generosi appassionati della cultura, anche Clemente Marigliani apre le sue stanze “magiche” a chi lo desideri. E come un padre orgoglioso dei suoi figli, è disponibile a raccontare i momenti più significativi dell’avventura di questo incredibile percorso. Un viaggio che tutt’ora continua...
OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi
di tutti gli interessati
Aneddoti famigliari e
scelte "variegate"
di Giancarlo Marchesini
Ogni famiglia ha i suoi aneddoti, perle di saggezza, intrise talvolta di ironia, che si tramandano di generazione in generazione. Ve ne racconterò due che riguardano la mia famiglia perché capiate le ragioni di questo articolo.
Giungere, un imperativo kantiano. Zio Tullio insegnava matematica all’Università di Roma (allora, inizi del secolo XX, non si chiamava La Sapienza: era l’unica struttura universitaria della città). Nella capitale nevica raramente, quasi mai, ma il caso volle che quel giorno fatidico la città si risvegliasse ricoperta da uno spesso manto di neve. Zio Tullio non si fece intimidire e contro il parere di tutti i famigliari si vestì di tutto punto per andare a fare lezione alle nove di mattina. Per sancire la sua volontà civica e didattica si espresse con un lapidario: DEBBO GIUNGERE, con il tipico frasario toscano che contraddistingue la mia famiglia. Nel giro di pochi minuti, zio Tullio venne riportato a casa a braccia da quattro vicini che lo avevano trovato lungo disteso sul marciapiede. Inutile dire che da quel giorno nessuno lo chiamò più Tullio ma Debbo Giungere.
Disavventure moscovite. Zio Cesare, comunista della prima ora e fino alla sua morte, lavorava al poligrafico dello Stato. La sua appartenenza politica, con tanto di tessera, gli aveva impedito molti salti di carriera cosa che lui esprimeva bofonchiando contro la Democrazia Cristiana. Di tutt’altro parere era il Partito che ricompensò la sua fedeltà con un viaggio premio a Mosca. Fin qui tutto bene, ma zio Cesare che aveva evidentemente – lo avrete capito – uno spirito controcorrente uscì dal suo alberghetto moscovita per fare una passeggiata e rendersi conto di persona delle conquiste del socialismo. Il caso volle che il nostro “Peppone” si avventurasse nella metropolitana.
La metro di Mosca è una struttura gigantesca e tentacolare che permette anche di passare a piedi da un punto all’altro della città. Un’infinità di camminamenti, corridoi, indicazioni, frecce e cartelli, tutti ovviamente in russo. Zio Cesare si perse e camminò per ore in questo labirinto che al confronto il Tube di Londra è una stazioncella di provincia.
Aiuto, aiuto. Zio Cesare cominciò a chiedere indicazioni ai passanti, frettolosi e scostanti come tutti gli utenti della metro (a Mosca, un po’ di aggressività è un sistema di autodifesa) e si accorse ben presto che nessuno capiva le sue disperate richieste in italiano. Dopo cinque ore di ricerche affannose riconobbe finalmente l’ingresso dal quale si era inoltrato nel labirinto. Tornò in albergo e passò lì tutta la serata, saltando la cena. Il giorno dopo partì per Roma con un mesto ricordo del realismo socialista. In famiglia l’espressione “la metro di zio” sta indicare una delusione o un’avventura rischiosa, ai limiti della sopravvivenza.
La famiglia. Perché vi ho raccontato questi aneddoti? Perché sono convinto che ogni famiglia abbia le proprie espressioni, i propri modi di dire che condensano avventure ed esperienze: una specie di linfa vitale che passa dal tronco ai rami dell’albero per finire nei più teneri virgulti. Mi chiedo se le famiglie di oggi coltivino ancora questi aneddoti che sanciscono una coesione, un’appartenenza.
Risposte precostituite. La società odierna ci offre risposte e definizioni precostituite che vengono accettate in modo passivo. In trent’anni di esperienza con giovani universitari, mi sono avveduto di come una semplice parola possa attecchire come risposta unica a una serie di situazioni. Fra i miei studenti era molto in voga la parola variegato che si usa normalmente per fiori, piume e strutture variopinte. Per loro variegato era un termine ombrello per articolato, complesso, diversificato, poliedrico… e guai criticare le loro soluzioni: se ne uscivano con le statistiche di internet che ovviamente rispecchiano le scelte dei più ma non necessariamente le migliori. Il lessico si restringe, si uniforma e si raggruma in termini stereotipi (aneddoti famigliari e ironia addio). Ricordo uno studente si trovava in difficoltà per trovare un sinonimo della parola avaro e si intestardiva a dire che era l’unica parola per descrivere questo modo di essere. Gretto, tirchio, spilorcio o taccagno (per non parlare di pelagrilli) non facevano parte del suo vocabolario attivo. Ci stiamo abituando ad esprimere sentimenti e reazioni con gli emoji, La mesta conclusione è che c’è poco da sbellicarsi dalle risate come vorrebbero predicare gli emoticon, e compagnia cantando.