PASQUA: simbolo di rinascita e di riscatto tramite il sacrificio
di Francesco Bonanni
La Pasqua essenzialmente è una festività legata all’Equinozio di Primavera. Nell’Antichità era considerata la festa della fine dell’Inverno e quindi della rinascita della Natura. La Pasqua Cristiana commemora la resurrezione di Gesù dopo tre giorni dalla morte come descritta dal Nuovo Testamento. È una Festività non cadente a data fissa ed è calcolata sulla base del CALENDARIO LUNISOLARE (Anno Solare a più Fasi Lunari) simile al Calendario Ebraico. La sua data è calcolata di anno in anno secondo i Cicli Lunari per cui cade la Domenica dopo il Primo Plenilunio successivo all’Equinozio di Primavera. L’idea di un simile sistema di datazione fu del Monaco scita Dionisus Exiguus (470-544) al fine di stabilizzare la data della Pasqua che all’epoca era l’evento più importante per la Cristianità. Ciò avvenne nel 525 dell’Era Cristiana. Dionisius, inoltre, nella datazione fece uso per la prima volta del termine “Anno Domini”.
In precedenza anche Costantino durante il Concilio di Nicea del 325 d.C. aveva tentato una simile operazione ma con insuccesso. Ma solo con l’opera del Monaco Beda: “Ecclesiastic History of English People” del 731 d.C. tale sistema divenne popolare e si diffuse.
Poi nel XVII secolo apparve per la prima volta il termine “Era Volgare”, in sostituzione dell’altro “Anno Domini”, negli scritti dell’Astronomo Giovanni Keplero.
Inizialmente il calcolo della Pasqua veniva effettuato da tutte le Chiese Cristiane sulla base dell’antico Calendario Giuliano. Solo dal 1582 quando il Papa Gregorio XIII introdusse il nuovo Calendario (che da lui prese il nome di “Calendario Gregoriano), come correzione del precedente Calendario Giuliano di Epoca Romana la Chiesa Ortodossa si rifiutò di adottarlo mentre nei Paesi Protestanti fu accettato con un certo ritardo.
Le radici della Pasqua Cristiana risalgono a quella Ebraica chiamata PESACH (PASHA in aramaico) che celebra l’ottenuta “Liberazione” dalla dominazione egiziana grazie a Mosè.
Il termine “Pesach” significa “Passare oltre”, “Tralasciare” e si riferisce al “racconto della decima piaga” quando il Signore ordinò agli Ebrei di segnare con il sangue di agnello le porte delle loro case permettendo allo “Sterminatore” di andare oltre, in modo tale da colpire solo quelle degli Egizi che così furono puniti con la morte dei loro Primogeniti.
Oggi la Pasqua è divenuta anche simbolo di Pace dopo il Sacrificio.
E quando parliamo di Pace e di Sacrificio non possiamo non pensare anche a tutti coloro che nei vari campi di battaglia hanno offerto la loro gioventù fino all’estremo sacrificio della loro vita.
Essi sono degni di essere ricordati non solo nelle fredde lapidi e negli imponenti Monumenti ma anche nelle nostre memorie.
Invece si festeggiano le vittorie ignorando le sconfitte dimenticando che sia nelle vittorie che nelle sconfitte si sono sacrificati tanti combattenti.
Ma proprio il sacrifico dei combattenti sconfitti è maggiormente meritevole di essere ricordato e onorato in quanto non è stato coronato dal successo. Successo che spesso è determinato dalla fortuna ed in ogni caso le responsabilità della sconfitta non
sono attribuibili a coloro che vi hanno partecipato senza essere gratificati da un risultato positivo.
Troppo spesso i reduci di guerre perse, non solo non sono stati onorati, ma hanno subito da parte dell’Opinione pubblica l’onta della sconfitta e addirittura sono stati additati come i responsabili di tali insuccessi. Infatti ci esaltiamo delle vittorie e ci vergogniamo delle sconfitte. Ma invece di celebrare le vittorie contro un avversario che spesso nel tempo diventa un nostro amico sarebbe più giusto ricordare con riconoscenza tutti coloro che nella buona o nella cattiva sorte si sono sacrificati.
GIOVANNI PIERLUIGI
da PALESTRINA:
5° Centenario della nascita
del maestro della
Scuola romana
Il 16 gennaio di quest’anno presso la Basilica di Sant’Andrea della Valle ho partecipato, insieme al Coro Virile della Cappella Giulia della Basilica di San Pietro in Vaticano e dal Coro dell’Università del Minnesota, all’allestimento del concerto in occasione dei cinquecento anni dalla nascita di uno dei più illustri compositori del rinascimento e figura fondamentale della musica sacra. Ovviamente parlo del Maestro insuperato della polifonia sacra rinascimentale, Giovanni Pierluigi da Palestrina.
Giovanni Pierluigi da Palestrina, elegante compositore del genere sacro, spicca per l’abilità contrappuntistica, l’uso di dissonanze e consonanze che convergono in un equilibrio sonoro distintivo e accattivante. Come cantore, organista e maestro di coro, approfondisce in maniera straordinaria le possibilità del coro a cappella, cioè senza accompagnamento strumentale.
La sua produzione è vastissima: si pensi ai 300 mottetti (composizioni polifoniche di ispirazione sacra come O bone Jesu o Adoramuste Christe), 68 offertori, almeno 72 inni, 35 magnificat.
Secondo lo stile dell’epoca, lavora anche al genere della “lamentazione”, la forma musicale che esprime il dolore per un evento luttuoso in ambito sacro, come la morte di Cristo.
Numerosi madrigali profani e spirituali (tra cui Jesu Rex Admirabilis molto noto e tra i più eseguiti nell’ambito della coralità), molteplici inni e 105 messe superando ogni altro compositore contemporaneo; traesse vi è la famosa Missa Papae Marcelli.
Palestrina è particolarmente bravo nello sfruttare le tecniche del contrappunto della Scuola franco-fiamminga; nello stesso tempo possiede un talento indiscutibile che gli permette di raggiungere nelle sue musiche purezza ed eleganza fuori dal comune.
La sublime semplicità della sua musica interpreta la richiesta legata alle riforme del Concilio di Trento.
Persona coraggiosa e saggia era considerato dai suoi contemporanei, molto dedita alla famiglia, alle questioni finanziarie e ai suoi doveri come direttore di coro e compositore, incapace di sopportare mediocrità, ristrettezza mentale o malevolenza data la sua sensibilità che però non intaccava la sua forte personalità. La sua fama di compositore, già largamente attestata dai contemporanei, la sua posizione è centrale nella musica sacra del secondo cinquecento e successivamente resta un modello classico della scrittura contrappuntistica (il cosiddetto stile alla Palestrina) e punto di riferimento obbligato nello studio della composizione.
La sua fama crebbe ulteriormente dopo la sua morte. Tutt’oggi, gli esecutori che tramandano la suddetta Scuola Romana sono il coro Romaeterna Cantores ed il coro della Fondazione Domenico Bartolucci.
Fra i suoi convinti ammiratori ci furono Johann Sebastian Bach, Ludwig van Beethoven, Robert Schumann, Johannes Brahms, Felix Mendelssohn, Richard Wagner, Claude Debussy, Igor Stravinskij e Giuseppe Verdi, il quale include Palestrina «in primis et ante omnia».
Per concludere e farvi capire a fondo l’importanza di un uomo “chiave di volta, pietra su cui si edifica la polifonia”, vi racconto di come Verdi in quella lettera a Francesco Florimo, nel declinare l’invito del corpo docenti del Conservatorio di Napoli, si confida: «Avrei voluto porre, per così dire, un piede sul passato e l’altro sul presente e sull’avvenire (ché a me non fa paura la musica dell’avvenire); avrei detto ai giovani alunni: ‘Esercitatevi nella Fuga costantemente… studiate Palestrina…’». E se lo ha detto Verdi, c’è da fidarsi!