SIMPOSIO
Giuliana Bellorini
Coordinatrice corrispondente
del salotto sede del Simposio
COINCIDENZE
L’avverarsi nello stesso momento di episodi collegati tra loro, stupisce. Gli scherzi del caso ci lasciano perplessi, ma anche ci fanno considerare che, forse, qualcosa unisce davvero questi episodi… cosa? Un messaggio cifrato? Un avvertimento? Un suggerimento di porsi all’ascolto di quanto avviene intorno a noi per cogliere segni significanti nel tutto che ci travolge quotidianamente? E chi ci invia questi segni? Sarà sempre un mistero, nonostante le tesi e le spiegazioni più o meno convincenti di alcuni. Ma, al di là del senso che ognuno vuole dare, la casualità degli eventi concomitanti ci offre uno spunto per soffermarsi a pensare e dare spazio a svariate supposizioni. Ricevo, in contemporanea, due scritti che riflettono sullo stesso argomento da parte di cari amici, che fra di loro non si conoscono e vivono geograficamente molto distanti uno dall’altro. Il testo è bello, leggero, aereo, e lascia respirare un’aria che da tempo mancava: parla di una primavera che ci siamo dimenticati di ascoltare. Ed è questo stimolo all’ascolto che vorrei con-dividere con voi. E, se c’è un messaggio in questa coincidenza, il “segreto” sta tutto qui.
Giuliana
L’ALTALENA
di Roberta Corà
Per questa primavera ho voluto farvi tornare ai tempi della fanciullezza e farvi ricordare quanto sia bello e liberatorio andare sull’altalena. Ricordate i pomeriggi passati a dondolare avanti e indietro con oscillazioni sempre più ampie fin quasi a sfiorare il cielo con le punte dei piedi? Sembrava di volare, di andare a far compagnia agli uccelli sui rami degli alberi, di venire lanciati sulle nuvole soffici come zucchero filato. La sensazione bellissima di essere liberi, di raggiungere l’irraggiungibile con ali invisibili… se ci rendeva felici da piccoli, perché non dovrebbe farlo anche adesso che siamo grandi? Anche se non si è più bambini vi consiglio di provare la bellezza di un giro in altalena che saprà risvegliare il senso di leggerezza infantile che riposa assopito da qualche parte dentro di noi.
Mentre l’altalena sale sembra di spiccare il volo, su, sempre più su, fino al limite del possibile. Vediamo tutto dall’alto, da una prospettiva che con i piedi per terra non avremmo mai potuto avere. Ci si lascia andare, cullandosi avanti e indietro con leggerezza, godendo dell’aria sulla pelle creata dal dondolio. Su e giù, tra alti e bassi, in continuo movimento. Proprio come capita nella vita quotidiana, in cui ci districhiamo tra i ricordi del passato e le proiezioni sul futuro, oscillando intorno a un equilibrio precario sperando di trovare una base sicura d’atterraggio. A volte siamo felici e altre ci sentiamo trascinati sempre più giù e sembra di non riuscire ad andare avanti. Capita anche di sentire il bisogno di rallentare per ritrovare la forza e la spinta giusta per ricominciare e tornare a volare. E come sull’altalena, prima su e poi giù, senza mai annoiarsi… una volta saliti, non si vorrebbe mai scendere. Perché la vita è una grande e meravigliosa avventura!
I RACCONTI DAL FARO
HO VISTO NINA VOLARE
una storia vera
L’ALTALENA – “Ho visto Nina volare / tra le corde dell’altalena / un giorno la prenderò / come fa il vento alla schiena” ripete più volte la canzone-ballata che racconta una storia vera, un’infanzia spensierata all’insegna della libertà nella campagna piemontese di Revignano d’Asti, mentre a pochi chilometri di distanza la guerra imperversava nei primi anni del 1940.
Nina e Fabrizio erano nati nello stesso anno, il 1940, e avevano due anni quando la famiglia di Fabrizio - che era stata costretta a lasciare Genova - acquistò un casale accanto alla cascìna dove viveva la famiglia di Nina. Gli unici bambini erano Nina, Fabrizio (chiamato Bicio) e il suo fratello maggiore Mauro, che presto li lasciò. Rimasti soli, Nina e Fabrizio passavano le giornate all’aria aperta correndo nei campi, facendo scherzi, giocando con gli animali, e andando sull’altalena in ogni giorno d’Estate.La loro fu un’infanzia felice. Nina racconta oggi che è lì che Fabrizioscoprì l’amore per la natura, per gli animali e per la vita di campagna; e che, quando spesso litigavano, le diceva in perfetto dialetto piemontese: “Ricordati Nina, s’am fai anrabiéatspus pi nen” (“Ricordati Nina, che se mi fai arrabbiare non ti sposo più”).
Poi la guerra finì e nel 1950 Fabrizio ritornò a Genova con la sua famiglia.
47 ANNI DOPO – Nina rimase sempre nella sua cascìna nella campagna piemontese. Si sposò, ebbe due figli e diventò nonna. Poco era cambiato negli anni, fino a quel 20 Settembre del 1997. Era un Sabato come tanti altri quando, mentre sotto l’ombra di una pianta stava mettendo i peperoni in composta, suo marito le si avvicinò e, con un’espressione di sorpresa sul volto, le disse: “Al cancello c’è De Andrè!”. Nina credette ad uno scherzo, ma quando lo vide che le veniva incontro si accorseche era proprio vero: Fabrizio, Fabrizio De André, il bambino con cui aveva giocato nell’infanzia, era lì, quarantasette anni dopo. Nina - che da lontano lo aveva visto divenire una celebrità, un artista famoso – pensava che fosse cambiato, e che avesse ora un contegno serio e distaccato. Invece, l’uomo che si trovò di fronte era la persona più semplice e spontanea che mai avesse potuto immaginare. Fabrizio volle rivedere i luoghi, il casale ove era cresciuto, il portico, la sorgente e il pozzetto delle salamandre dove da bambini passavano le ore e i pomeriggi interi, per poi tornare con l’acqua fresca per le loro famiglie. Fabrizio si stupì di come ogni cosa fosse rimasta intatta nel tempo, esattamente identica a come lui ricordava. Ripensarono alle canzoni che ascoltavano durante e dopo la guerra.
LA CANZONE – Fabrizio rimase con Nina e con la sua famiglia per quattro ore. Nina gli chiese perché non fosse tornato prima. Non le rispose. Non le diede una vera e propria risposta. Le disse solo: “Ti ho ricordata in una canzone”. Nina si commosse, proprio come le era accaduto l’anno precedente, quando quella canzone l’aveva ascoltata per la prima volta in televisione: nel video-clip c’erano due bambini, una femmina ed un maschio che correvano a perdifiato nei campi, una bicicletta, e i versi che richiamavano i ricordi comuni, l’altalena, il miele delle api che tanto a loro interessava osservare. Nina non aveva avuto dubbi, quella canzone Fabrizio De André l’aveva dedicata a lei. Quel giorno, Nina, che non aveva mai dimenticato Fabrizio, ebbe la prova che anche lui non l’aveva dimenticata.
L’ADDIO - Alla fine di quel pomeriggio del 1997, quando Fabrizio De André (1940-1999) la salutò, si abbracciarono e rimasero stretti per qualche istante. Nina ebbe la sensazione che quel saluto non fosse un arrivederci, ma un addio. Purtroppo, non si sbagliava.
NOTE
Il presente articolo ha preso spunto da una intervista a Nina M. del 2020; la canzone di Fabrizio De André “Ho visto Nina volare” (in album “Anime salve”, 1996) può essere ascoltata sul web al sito Google www.youtube.com/watch?v=Y4o7YXL6dIE
Il Guardiano del Faro