SIMPOSIO
Giuliana Bellorini
Coordinatrice corrispondente
del salotto sede del Simposio
2025-2026 FACCIAMO ORDINE
Fra poco è Natale, per trovare lo spazio per il presepe e un albero di luci, dobbiamo mettere in ordine le (troppe) cose che ogni anno accumuliamo nelle nostre case, tutti quegli oggetti che oramai passavano inosservati nell’abitudine della quotidianità. Ne ritroviamo alcuni, quasi dimenticati, che inaspettatamente ci emozionano, smuovendo il ricordo di un momento vissuto. Di quel ricordo cerchiamo, lentamente, di prolungarne l’incanto, spolveriamo con tenerezza le immagini che arrivano ai nostri occhi, mentre quel ricordo si ricollega ad altri come un anello di un’unica catena. Sono momenti, fra i tanti che hanno fatto della nostra vita ciò che siamo oggi. "Ricchi" o "poveri" momenti, così, almeno li distinguiamo, ma in realtà necessari uno all’altro perché la catena non si spezzi. Di povero o prezioso metallo, questi anelli sono la vita fin qui vissuta, l'unica che ci è dato trascorrere e che possiamo decidere di vedere luminosa o buia. Come luminoso è il battito nella povertà del presepe, tra pecorelle e umili pastori. Ritroviamo quelle statuine, riposte l’anno prima nella scatola che ora riapriamo con trepidante e religiosa attenzione, perché ritornino a vivere le emozioni degli “uomini di buona volontà”. Quel modesto presepe tornerà, per questi giorni, illuminato dalle stelle della gioia e dai canti degli angeli che inneggiano a tutto ciò che vive e risplende nel miracolo della nascita di un bimbo.
Giuliana
RICORDARE È COME
INTRAPRENDERE
UN VIAGGIO
di Paola Ravello
In una delle stanze della nostra vecchia casa, nel cuore dell’antica città veneta dove sono nata, c’era l’austero cassettone, dalla monumentale foggia asburgica, un tempo appartenuto ai miei trentini bisnonni paterni. Scuro e solenne, occupava mezza parete. Pochi intagli geometrici lo decoravano, senza mitigarne l’aspetto severo.
Il primo cassetto, meno profondo e più sporgente dei sottostanti, poggiava su due colonnine laterali che terminavano con robusti zoccoli d’appoggio. I tre cassetti inferiori, grandi e accoglienti come culle, contenevano la biancheria di casa che era stata il vanto delle precedenti generazioni. Lenzuola, federe, asciugamani, solcati da chilometri di orlature a giorno, eseguite con tale precisione che era impossibile distinguere il diritto dal rovescio. Camicie da notte, impreziosite da pizzi all’uncinetto, percorse da piegoline e nervature dalle cuciture invisibili. Tovaglie personalizzate da monogrammi avvolti in spirali, volute e tralci di fiori, germogliati per incanto da matassine di filo mouliné. Corsetti di sangallo, stringati per serrare il punto vita, che nelle coppe celavano un ingegnoso sistema di apertura segreta, utile in caso di allattamento. Collarette traforate, smerlate con la spola del chiacchierino a occhielli così serrati e fitti da assumere la consistenza di una passamaneria… Veri e propri gioielli, cesellati dalle donne di famiglia nei pochi ritagli di tempo rubati alle faccende quotidiane o, più spesso, al sonno. Opere d’arte, per la maggior parte realizzate sotto l’incerta luce delle lampade a petrolio, che durante la mia infanzia non degnavo di uno sguardo.
Ero invece assai attratta dal contenuto del cassetto superiore, perché mi affascinavano le scatole di latta dipinta che vi si trovavano. In quelle scatole di varie misure mia madre serbava, con cura gelosa, ordinatamente divisi per tipo e appartenenza, i ricordi della famiglia.
La mamma era il ministro per la conservazione dei molti beni immateriali e sentimentali dei nostri avi. Era anche il ministro delle nostre scarse finanze. Sul ripiano del vetusto mobile mio padre schierava, in ordine sparso, alcuni oggetti che, pur diversissimi tra di loro, avevano una comune destinazione. Gli servivano infatti per praticare, a seconda delle stagioni, i molti sport dei quali era appassionato. C’erano, per esempio, allineati dal più piccolo al più grande, i vasetti delle scioline, che d’inverno spalmava sotto gli sci per farli meglio scorrere sulla neve; un paio di occhialini, allora avveniristici, per le sue immersioni subacquee estive; il cronometro che in primavera e autunno gli dava i tempi per le corse in bicicletta… I guantoni da pugile andavano bene per tutto l’arco dell’anno e pendevano per i loro lacci dalla chiave del secondo cassetto.
Nel mezzo del ripiano, in superbo isolamento, trattata con maniacale attenzione e ben protetta nell’astuccio rigido di cuoio, stava la cosa alla quale, in assoluto, mio padre teneva di più. La macchina fotografica, da cui non si separava mai, dovunque andasse: era il suo terzo occhio. Fotografava per lavoro. Fotografava per passatempo. Pronti. Fermi. Clic. Ogni sua fotografia era il resoconto fedele e poetico di un fatto avvenuto e consegnato a futura memoria.
[…] Grazie al fervore creativo del papà, la nostra crescita è stata illuminata dalla meraviglia per i doni che la natura ci metteva gratuitamente a disposizione, e documentata dalla grande quantità di fotografie che accompagnavano la nostra vita, per lui sempre straordinaria.
Debbo molto ai miei genitori: mi hanno lasciato un bel po’ di materiale a cui attingere, nelle mie scorribande a ritroso nel tempo. A me piace ricordare; ricordare è come intraprendere un viaggio. Uno speciale senso di orientamento mi fa trovare la strada nella più intricata boscaglia dei sentimenti, individuare la fresca sorgente anche in mezzo al deserto della solitudine, scovare l’anfratto dove incontrare il coraggio dopo aver sfidato il drago della paura, riconoscere le radici della pianta salvifica che attenua il dolore.
E ho in mano la mappa, e la so decifrare, che i miei avi hanno tracciata con sudore, lacrime e sangue: su di essa è pure segnato il passaggio segreto. Ma quello, ognuno se lo deve lottare.
LA SCATOLE DEI RICORDI
Stringo al cuore la
vecchia scatola di latta.
Colorata con disegni
antichi colma di me.
Ti apro e scopro che
sei uno scrigno di ricordi.
Lettere scritte a mano dal
mio amico marocchino.
Che bella collanina di
coralli finti, rotondi
regalata da mia zia.
Oh! Guarda ancora lettere.
Alla più cara amica lontana.
Non ricordavo più!
Ci sono ancora le
cartoline antiche della
Sardegna e gli occhiali
comprati a Cagliari,
troppo ventosa la mia
isola che amo!
Vecchie monete americane.
Un coltellino regalo di un
Vecchio amico.
La mia mente torna indietro
e rivedo una dolce fanciulla
ingenua, tredicenne innamorata
della vita e della natura.
I ricordi più belli
sono lettere d’amore
per un amico che amavo.
E chiudo la scatola.
Vita mia non mi hai dato
I sogni che volevo.
Rita Salimbeni
Ardea, 27 novembre 2025