Numerose sono le patologie che vengono ignorate
Malattie invisibili
C’è chi vive con dolori costanti, chi affronta terapie senza fine, chi teme di non essere creduto. Sono storie che non si vedono, e proprio per questo finiscono per essere ignorate: le storie delle malattie invisibili.
Parliamo di patologie croniche che non presentano segni esteriori immediatamente riconoscibili, ma che condizionano profondamente la vita di chi ne soffre. Fibromialgia, endometriosi, malattie infiammatorie croniche intestinali come il morbo di Crohn, patologie autoimmuni e disturbi mentali rientrano in questa categoria. Il problema non è solo clinico, ma sociale: diagnosi spesso tardive, sintomi minimizzati, pregiudizi che trasformano la malattia in stigma. Chi ne è colpito si trova così a combattere su due fronti: contro il dolore e contro l’indifferenza.
I dati parlano chiaro. Oltre il 96% delle persone con patologie croniche convive con una malattia invisibile. La fibromialgia colpisce circa due milioni di italiani, mentre le MICI superano le 250.000 diagnosi. L’impatto economico è enorme: il costo medio annuale per un paziente oscilla tra i 5.000 e i 10.000 euro, considerando cure, visite, assenze lavorative e ridotta produttività. Alcune condizioni arrivano a superare gli 11.000 euro l’anno solo in perdita di rendimento. A questo si aggiunge il peso delle terapie biologiche, indispensabili per molti pazienti: in media tra i 10.000 e i 15.000 euro l’anno per persona (ricordiamoci che molte terapie arrivano a costare anche più di 3.000 euro a dose) un investimento che ha rivoluzionato la qualità della vita ma che incide in modo significativo sui bilanci del Servizio Sanitario Nazionale. A queste spese si sommano le visite specialistiche, spesso necessarie con cadenza ravvicinata. È assurdo che cure e controlli così fondamentali abbiano costi tanto elevati per la sanità pubblica e che, nonostante l’investimento, l’accesso non sia sempre garantito. Troppo spesso i posti disponibili tramite il SSN non bastano, costringendo i malati a rivolgersi al settore privato, con tariffe che oscillano tra i 100 e i 250 euro a visita, da ripetere più volte nell’arco dell’anno. Prestazioni che dovrebbero rientrare in piani di routine diventano invece un lusso a pagamento, generando una disparità intollerabile tra chi può permettersi la cura e chi no.
Il lavoro è il contesto dove queste fragilità diventano più evidenti. Visite frequenti, cicli terapeutici e giornate di debilitazione improvvisa vengono percepiti come un freno alla produttività. Ne derivano licenziamenti, mancati rinnovi, demansionamenti. Una rigidità che genera discriminazione e al tempo stesso produce un costo sociale insostenibile: perdita di competenze, esclusione dal mercato del lavoro, aumento delle spese assistenziali.
Le conseguenze ricadono anche sulla vita sociale e familiare. Chi alterna giornate di apparente normalità a momenti di forte dolore o stanchezza è costretto a giustificarsi continuamente, con il rischio di isolamento e sensi di colpa. L’impatto psicologico è devastante: ansia, depressione e perdita di identità diventano parte integrante della malattia. Non essere riconosciuti significa vivere una seconda forma di invisibilità, quella istituzionale.
Negli ultimi anni qualcosa si è mosso, come il DDLS 1430, che rappresenta un passo importante e introduce nuove tutele per i lavoratori affetti da malattie oncologiche, croniche e invalidanti: prevede fino a 24 mesi di congedo non retribuito con conservazione del posto, permessi retribuiti aggiuntivi per esami e terapie, e priorità nello smart working al rientro. Ma la strada è ancora lunga. Occorre una strategia nazionale che tenga insieme sanità, welfare e lavoro.
Un tassello decisivo riguarda le aziende. Non bastano sensibilità individuali o soluzioni occasionali: è necessario introdurre figure e strumenti strutturati. Tra questi, la presenza del Disability Manager, un professionista incaricato di gestire l’inclusione delle persone con disabilità e fragilità croniche. Affiancato da percorsi psicologici e formativi dedicati a dirigenti, responsabili e colleghi, questo ruolo diventa un ponte di comunicazione tra impresa e lavoratore.
Comprendere il carico fisico ed emotivo di un dipendente cronico non è solo un dovere etico, ma anche un investimento strategico: riduce assenteismo e turnover, migliora il clima aziendale e valorizza competenze che altrimenti rischiano di andare perdute. In questo senso, le aziende che introducono politiche di inclusione strutturate non solo rispettano diritti, ma rafforzano anche la propria competitività e reputazione.
In questo quadro servono leggi, risorse dedicate e strategie vincolanti. Solo così si potrà trasformare un’emergenza silenziosa in una priorità pubblica, concreta, capace di incidere realmente sulla vita delle persone. Senza mosse concrete, continueremo a produrre solo progetti vuoti, senza anima, che lasciano i malati invisibili esattamente dove sono: ai margini.
Valentina Tartaglia
Guadagnuolo celebra i 70 anni di Papa Leone XIV, simbolo di speranza
La Pace sia con Voi
In un orizzonte lacerato da bombe e missili, Francesco Guadagnuolo rivolge il pennello verso un uomo che, il 14 settembre 2025, compie settant’anni. Papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost, diventa il simbolo fragile e forte di un’umanità in cerca di tregua. Sul volto del Pontefice, ogni ruga racconta il peso di un mondo in fiamme. L’artista invita a guardare oltre l’immagine, a riconoscere la speranza che germoglia tra le crepe del dolore.
Al centro del dipinto, il Papa saluta la sua gente con la mano sollevata, gesto antico come la promessa di un nuovo giorno. Il volto commovente dipinto da Guadagnuolo ci da una nota nostalgica, vedere il nostro Pontefice, che non si stanca ad evocare una Pace ‘disarmata e disarmante’, attorno, i tumulti delle guerre che s’impigliano nei colori: missili che cadono come stelle spezzate, edifici franati, urla che si dissolvono nel silenzio di cieli incandescenti. È un’apocalisse resa con tratti vibranti, un paesaggio che brucia la memoria e fa tremare il presente. Eppure, in quel caos, un invito alla Pace pulsa come un battito insistente. La prima parola che Leone XIV pronuncia dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro è una preghiera trasformata in promessa: “La Pace sia con voi!”. È una frase semplice, quasi sussurrata, ma riecheggia nel vuoto lasciato dalle esplosioni.
Nel silenzio che segue, ogni spettatore percepisce il tremore di un’umanità sospesa tra la speranza e l’abisso. Guadagnuolo ha svelato, il giorno dopo l’elezione, il suo primo ritratto di Papa Leone XIV, ampiamente illustrato dalla stampa, inaugurando così il percorso transrealista che lo contraddistingue. La realtà visibile si fonde con dimensioni segrete: il volto del Papa emerge nitido, mentre sullo sfondo le pennellate rivelano le tensioni del nostro tempo. Qui il Transrealismo diventa manifesto di un’arte che non si accontenta del reale, ma ne esplora le ferite e le potenzialità di rinascita.
Il rosso incandescente delle fiamme richiama il dolore di una terra martoriata e il sacrificio di tanti innocenti. Il blu profondo accoglie il desiderio di un domani diverso, sussurrando possibilità ancora in nuce. Un riverbero dorato inonda il volto del Pontefice, suggerendo la luce di un’alba che non smette mai di tornare.
Critici e fedeli vedono in questo ritratto un’icona che supera la mera somiglianza. È una finestra sospesa tra il sacro e il mondo, un segno che chiede fraternità e misericordia ad un pianeta stremato. In ogni tratto, in ogni sfumatura, pulsa il cuore inquieto di un’epoca che implora Pace e riconosce nel Papa la sua guida ed il suo manifesto di speranza.
Degrado all’ex parco dei Mille
Materassi, scarpe, coperte, cuscini. E poi ancora buste con all’interno degli indumenti, giacconi abbandonati, bottiglie d’acqua e lattine vuote. Il parco dedicato a Falcone e Borsellino, l’ex parco dei Mille, versa in uno stato di totale abbandono e degrado. Mentre i lavori per la realizzazione della pista da skate, opera finanziata con i fondi del PNRR, vanno avanti con l’obiettivo di terminarli entro la fine dell’anno, l’area verde di via dei Mille si è trasformata in un bivacco a cielo aperto. All’interno del parco, infatti, pernottano sette, otto persone, quasi tutti stranieri senza dimora, che non hanno trovato alcun altro riparo da poter utilizzare durante le ore serali. Di giorno spesso si allontanano in cerca di viveri ma poi già dal tardo pomeriggio tornano a stanziare nell’area verde.
C’è anche un italiano, una persona originaria di Aprilia, con alle spalle una storia fatta di separazioni e difficoltà quotidiane che lo hanno portato dal vivere una vita normale, ad una esistenza fatta di privazioni, senza più un tetto, e con la consapevolezza di dover lottare ogni giorno. Storie di emarginazione e di migrazioni. Alcune delle persone che dormono nel parco sono asiatici, indiani e del Bangladesh, ma ci sono anche nordafricani. Alcune volte, purtroppo, gli animi si sono surriscaldati e si è generata qualche rissa tra poveri.
Una situazione di degrado completo. Ad Aprilia, d’altra parte, non esiste un punto di ritrovo dove i senzatetto possano dormire. Sono costretti, praticamente, a cercarsi luoghi e giacigli di fortuna e, spesso, finiscono proprio nel parco Falcone e Borsellino.
“Questo inverno – ci spiega uno degli operai che lavorano tutti i giorni all’interno dell’area verde – alcuni di loro si riparavano dentro le cabine elettriche. Dormivano lì dentro, uno spazio angusto di forse un paio di metri quadrati, in due o tre persone. Poi li vedevi la mattina uscire tutti insieme per scaldarsi alla luce del sole. Nelle scorse settimane, quando il cantiere è stato fermo, abbiamo trovato anche delle brutte sorprese. Uno di loro aveva preso l’abitudine a fare i propri bisogni fisici dove lavoriamo. Gli abbiamo detto di smetterla, non abbiamo avuto più problemi”.
Una situazione che va avanti da tempo. Circa due anni fa gli accessi del parco lato Nettunense vennero chiusi dall’amministrazione comunale per permettere i lavori alla pista da skate in tutta sicurezza. Il parco, prima della chiusura, veniva utilizzato da tantissimi pendolari che “tagliavano” passando nell’area verde per dirigersi alla stazione. E ciò nonostante spesso l’illuminazione pubblica fosse alquanto carente. Due anni dopo le condizioni del parco sono addirittura peggiorate. Le opere vanno avanti con estrema lentezza e, nel frattempo, l’area verde si è trasformata in un bivacco permanente. Molti cittadini preferiscono girare al largo dell’area che, col passare degli anni, è percepita sempre più come luogo di insicurezza e soprattutto di spaccio.
Alessandro Piazzolla