OSSERVATORIO LINGUISTICO
Rubrica aperta ai contributi
di tutti gli interessati
I NOSTRI MODI DI DIRE
Ci vado a nozze
Asino calzato e vestito
Mosca al naso
di Giancarlo Marchesini
Eccoci a un altro appuntamento “balneare” con i nostri modi di dire. Il primo, “andare a nozze” esige una spiegazione del significato rispettivo di nozze e matrimonio. Il matrimonio è un atto che pertiene allo stato civile, le nozze (dal latino Nuptiae, quindi sempre al plurale) sono il festeggiamento con cui si celebra il matrimonio. Andare a nozze significa quindi prepararsi ad una festa, ad una cerimonia, nella sicurezza che tutto andrà bene, che non ci saranno problemi irrisolti o dell’ultima ora. È una visione ottimistica che, non a caso, chiama in causa uno degli atti più significativi nella vita di una coppia: l’unione, sia essa civile, religiosa o semplicemente di fatto.
Quando sento di poter rispondere “ci vado a nozze” immagino il più roseo dei futuri, la soddisfazione delle aspettative più esaltanti.
Certo, il fatto che statisticamente molti matrimoni si concludono con un divorzio nulla cambia al valore della nostra espressione idiomatica. Il difetto non è nel linguaggio, ma nell’essere umano, ahimè.
È un asino calzato e vestito. Secondo i dizionari, questa espressione indica un uomo rozzo, ignorante e insensibile il cui abbigliamento ricercato non riesce a nascondere queste cattive qualità. Insomma, come dire l’abito non fa il monaco.
Ricordo però un temutissimo professore di latino che si serviva di questo modo di dire per criticare uno studente che, a suo avviso, era un asino irrecuperabile, un vero ignorante. La società e con essa la lingua cambiano. Nessun insegnante può oggi permettersi di dare del somaro a un suo allievo senza incorrere in accuse di abuso di potere e ingiurie (mi riferisco a un caso concreto). Ci siamo costruiti dei miti destinati a difendere le persone da attacchi che sono diventati fin troppo semplici con l’avvento di Internet. E stiamo perdendo quel senso dell’humour e quella capacità di relativizzare che da secoli contraddistingue la cultura italiana. Certo, relativizzare non vuol dire “abbozzare”, subire passivamente. E subito mi viene in mente un’altra espressione idiomatica: “avere la coda di paglia”.
Nel mio immaginario, un asino calzato e vestito è uno sprovveduto, indipendentemente dal modo in cui è vestito. Ricordo con simpatia quel troglodita che compariva nei caroselli con tanto di clava e che ripeteva: “Mi non so, mi sun foresto”. Chissà se oggi il fatto di servirsi di un personaggio del genere per una pubblicità non verrebbe tacciato di… razzismo.
La mosca al naso. Lo ammetto, fra me e le mosche c’è un fatto personale, le odio e loro mi odiano. Mi circondano, mi sfrecciano sotto agli occhi, mi confondono mentre sto al computer, mentre guido e mentre cucino. E tanto più irritante è quando mi sfiorano il viso, gli occhi, le labbra e ovviamente il naso. Quando la mosca ti salta al naso, perdi la pazienza, ti senti infastidito e reagisci in modo impulsivo. Quelle zampette che si posano fugacemente e sempre sfuggono a qualsiasi tentativo di allontanarle sono per me una piaga biblica, una maledizione con cui ho imparato a convivere: litri di citronella e sempre un ammazzino a portata di mano. Una sola volta ho avuto pietà di una mosca che mi è venuta a morire sulla tastiera del computer. Secondo mia figlia ci sono mosche che vivono soltanto un giorno. Forse quella che venne a morire davanti ai miei occhi era una di quelle dalla vita breve e la perdonai per la sua visita inopportuna.
Con questo sfogo personale, credo di avervi fatto capire l’essenza del modo di dire “quando ti salta la mosca al naso”. Ovviamente ho confuso fraseologia e dati personali. Va detto, a onor del vero, che le mosche sono importanti impollinatori ma, lo segnalo con una punta di cattiveria, hanno un ruolo importante nella catena alimentare come cibo per altri animali (uccelli, rettili, anfibi, mammiferi e altri insetti). Forse le cose cambiano per le mosche bianche. Ecco un altro modo di dire da analizzare!
SUL
PRINCIPIO
DELLE
COSE
a cura di Adriana Cosma
ARTI DIVINATORIE O
ARTI MANTICHE? /3 (cenni)
I King Cinesi 4000 a.C. (Prima parte)
Simile al sistema delle Rune, anche per i King si tratta di un sistema grafico matematico-filosofico che descrive i mutamenti dell’esistenza della vita umana. Un sistema raccolto nel Libro dei mutamenti che sta alla base delle tre religioni cinesi: Confucianesimo, Buddismo, Taoismo.
Il libro dei mutamenti o Lo Yijing descrive i mutamenti che caratterizzano il TAO, l’infinita natura eterna ciclica mutevole, un equivalente paradigma delle variazioni dell’esistenza umana.
È ritenuto il primo dei testi classici cinesi sin da prima della nascita dell’Impero Cin è un sistema che non risponde a domande secche ma indica la situazione generale di un determinato momento e propone consigli.
Il Libro dei mutamenti è diviso in due parti, jing 經 o ‘classico’ e zhuan 傳 o ‘commentario’, composti in momenti differenti ma tramandati come testo unico da due millenni circa. La porzione jing è composta da sessantaquattro unità, ognuna basata su un esagramma composto di sei linee che sono o continue (⚊) rappresentanti il principio yang o interrotte (⚋) rappresentanti il principio yin. Queste linee unite in terne formano 8 trigrammi che sovrapposti a due a due generano 64 esagrammi.
Ogni esagramma è costituito da due trigrammi: il trigramma inferiore (composto dalla 1, 2°e 3) e il trigramma superiore (composto dalla 4, 5° e 6) contando dal basso.
Ogni esagramma è accompagnato dal suo nome e da un’immagine con relativa spiegazione per essere interpretato dall’oracolo.
Simbolicamente rappresentano «ciò che avviene in cielo e in terra», nel Macrocosmo e nel Microcosmo.
UNA GUERRA
SENZA FINE /4
di Francesco Bonanni
L’Antisemitismo nel tempo si è diffuso in tutta Europa soprattutto a causa dell’attività feneratizia svolta quasi in modo esclusivo dagli Ebrei.
Invece in Italia l’Attività Creditizia è stata sempre esercitata da Operatori soprattutto Cristiani e contrariamente a quanto erroneamente scritto da Max Weber nel suo noto saggio “L’etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo”, proprio in Italia nasce la Prima Forma di Capitalismo, prima Mercantile e successivamente anche Finanziario.
Difatti la peculiarità italiana la troviamo nel lontano Medioevo con la nascita dei Comuni ad opera proprio di Mercanti che costituirono la base della nascente Borghesia. Ma una cattiva opinione ha spesso accompagnato i Banchieri, considerati generalmente, specie nel passato, degli sfruttatori e dei vili approfittatori delle difficoltà altrui.
A tale proposito un esempio è dato da un Personaggio illustre: il potente Sovrano Filippo II di Spagna il quale, per finanziare le sue numerose guerre, aveva contratto con Banchieri Genovesi un ingente prestito al tasso del 15 per cento. Ma poi questi Banchieri avevano caricato il prestito di tutta una serie di altri aggravi costituiti da vare voci aggiuntive per cui quel prestito, inizialmente calcolato al 15 per cento, al Sovrano veniva effettivamente a costare quasi al 50 per cento.
Nel febbraio del 1580, frustrato e furibondo, in una lettera disperata a un suo amico scrisse: «questa faccenda di cambi e interessi non sono mai riuscito a farmela entrare in testa».
E addirittura in tempi recenti il famoso drammaturgo Bertolt Brecht dichiarò che: «È più ladro chi fonda una banca di chi la sfonda».
Per questo gli Ebrei, che nel resto dell’Europa erano quasi gli unici ad esercitare il Credito, furono vittime di una sorta di sillogismo: i Banchieri sono ladri ma i Banchieri sono Ebrei quindi sono Ladri.
Quindi per i Sovrani Assoluti fu facile dirottare sugli Ebrei tutte le tensioni politiche e sociali che incombevano sul Paese.
Nella Russia zarista si arrivò addirittura a diffondere falsi documenti come prova della presunta pericolosa malvagità del Popolo Ebraico.
Si trattava dei “Protocolli dei Savi di Sion” falsamente attribuiti ad un presunto complotto segreto sionista diretto a impadronirsi del dominio del mondo, invece prodotti nel 1903 dalla famigerata Polizia Politica Zarista (La OKHRANA) con il precipuo scopo di incitare le masse contro la Popolazione ebraica.
In questo falso venivano descritti i metodi per ottenere il dominio del mondo attraverso il controllo dei Media e della Finanza nonché la sostituzione dell’Ordine Sociale Tradizionale attraverso la manipolazione delle Masse. L’opera fu poi strumentalmente utilizzata dagli oppositori del Movimento Rivoluzionario russo, alla cui Dirigenza vi erano numerosi Ebrei, soprattutto dopo il fallito tentativo rivoluzionario del 1905.
In seguito, nei confronti di questi falsi si risvegliò un rinnovato interesse intorno alla cosiddetta Rivoluzione d’Ottobre quando si insinuò il sospetto che il Bolscevismo fosse una “cospirazione ebraica” per il dominio del mondo.
Anche se attualmente l’uso dei falsi Protocolli è quasi scomparso tuttavia rimane ancora presente in una parte del Mondo Islamico come strumento di Propaganda Antiebraica.