A Pomezia il numero storico dei contagiati è di 3471
Ancora nella terza ondata
Al 27 aprile il numero storico dei contagiati è 3471 di cui 3074 i guariti; 359 i positivi di cui 325 in isolamento domiciliare e 34 in ospedale. I deceduti rimangono in totale 38.
Rimane costante nella nostra città il numero settimanale dei contagiati e quindi non si avverte ancora una flessione della terza ondata.
Il dato positivo è che a Pomezia le vaccinazioni mantengono basso il numero dei ricoverati 34 su 359 contagiati, questo sta a testimoniare che il contagio coinvolge una popolazione sempre più giovane.
Un altro aspetto positivo delle vaccinazioni è che da circa un mese non vi sono decessi.
I dati a Pomezia purtroppo non ci permettono di abbassare la guardia e quindi è doveroso rispettare con serietà le misure di contrasto al contagio.
Riepilogo del contagio a Pomezia:
Prima ondata:
Inizio il 4 Marzo del 2020 e fino al 20 ottobre 2020.
Al 20 ottobre il numero storico dei contagiati è stato in circa 7 mesi e mezzo, in totale 202, di cui 144 guariti; 58 positivi ( 55 a casa + 3 in ospedale); 5 deceduti.
Seconda Ondata:
dal 21 ottobre 2020 al 23 febbraio 2021
Al 23 febbraio il numero storico dei contagiati è stato in totale 2352 di cui: 2009 guariti; 320 positivi (308 in ospedale – 12 a casa); 23 deceduti.
Una seconda ondata che, per quel che riguarda la nostra città, è stata molto più dura della prima che praticamente ci aveva solo sfiorati. Infatti in questa seconda ondata abbiano avuto in solo quattro mesi ben 2150 contagiati e purtroppo altri 18 cittadini deceduti.
Terza ondata ancora in corso:
Dal 24 febbraio al 2 marzo 198 contagiati
Dal 3 marzo al 9 marzo 102 contagiati
Dal 10 marzo al 16 marzo 113 contagiati
Dal 17 marzo al 23 marzo 111 contagiati
Dal 24 marzo al 30 marzo 122 contagiati
Dal 30 marzo al 6 aprile 93 contagiati
Dal 7 aprile al 13 aprile 141 contagiati
Dal 14 aprile al 20 aprile 119 contagiati
Dal 21 aprile al 27 aprile 120 contagiati
A.S.
Nuovo centro cottura
Il sindaco Adriano Zuccalà e l’assessora Miriam Delvecchio hanno inaugurato questa mattina il nuovo centro cottura della scuola dell’Infanzia comunale Sant’Andrea Uberto che servirà i circa 150 alunni frequentanti.
Il nuovo centro cottura va ad aggiungersi ai 3 già attivi in città, garantendo pasti caldi e di qualità ai piccoli studenti.
“Continuiamo a migliorare la qualità delle nostre scuole – ha spiegato l’assessora Delvecchio – Il pasto è un momento importante nella giornata dei più piccoli, non solo per la loro educazione alimentare ma anche per ciò che rappresenta in termini di socialità.
Ringrazio tutti gli operatori del settore, incluse docenti e operatrici scolastiche che lavorano quotidianamente per il benessere dei nostri studenti”.
“Siamo orgogliosi di inaugurare questo nuovo centro cottura, una garanzia di alimentazione sana ed equilibrata per i nostri bambini – ha aggiunto il sindaco Zuccalà – Inoltre, con l’inizio del nuovo anno scolastico, ne sarà attivato un altro presso la scuola dell’infanzia di Santa Procula, il terzo centro cottura realizzato in 3 anni.
La dimostrazione della forte attenzione della nostra Amministrazione al mondo scolastico”.
Teresa Di Martino
Ufficio Stampa
Città di Pomezia
La riflessione del professor Giampiero Castriciano sui diritti dei disabili
Una scuola senza rotelle
Giampiero Castriciano attuale presidente dell’Associazione CPPS (Comunità Pontina Parchi e Sistemi Natuali), protagonista di battaglie a tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini e da sempre anche un paladino dei diritti dei disabili, ci ha inviato queste sue interessanti osservazioni sui banchi a rotelle.
“L’ultimo giorno di scuola, in prima elementare, ci fu concesso di giocare a pallone per tutto il tempo. Quando vennero le nostre mamme a prenderci, noi bambini ci salutammo, ancora sudati per il gioco, e ci demmo appuntamento per l’inizio del prossimo anno scolastico. A quell’appuntamento io mancai. Rividi i miei compagni soltanto quattordici mesi dopo durante i quali successe qualcosa che cambiò per sempre la mia vita. Mi fecero recuperare la seconda elementare, con un po’ di lezioni supplementari, e mi ritrovai direttamente in terza. L’aula era sempre la stessa e i compagni erano lì ad aspettarmi. Notai subito però che il mio posto era occupato da un altro bambino. Per me era stato riservato un tavolino con una sedia ed un poggiapiedi ma non c’era un posto per la cartella che riponevo a terra e i libri sul tavolo. La mia postazione si trovava accanto alla porta d’ingresso della grande e luminosa aula, proprio di fronte a tutti gli altri banchi dove, in coppia, erano seduti i miei amici. Mi sembrava quasi una conquista un tavolo tutto mio. Ciò che invece mi dava tremendamente fastidio era di rimanere isolato e costantemente sotto lo sguardo di tutti. Soltanto in quel momento cominciai a percepire che qualcosa stava cambiando. Negli anni a seguire mi resi conto che intorno a me non c’era soltanto un banco diverso e separato ma tutta una serie di cose simili ed inconcepibili a cui ormai mi dovevo adattare o rassegnare. Gli ingressi principali degli edifici, allora come oggi, non erano accessibili a tutti. Tu avevi un ingresso tutto tuo, separato, quasi comodo e spesso anche nascosto. Non eri contento che altri avevano pensato anche a te con tanta premura? Di che ti lamenti? Adesso ti hanno anche riservato dei parcheggi tutti tuoi, adatti a te, belli ed anche colorati. Tu, “diverso”, arrivi con la tua bella macchina, sì perché ti hanno concesso anche la patente, ma normalmente ci trovi sempre qualcun altro, un normaloide, che si trova lì per caso. Potremmo continuare con gli esempi.Di acqua sotto ai ponti ne è passata tanta. Oggi si parla di integrazione, inclusione, partecipazione, non-discriminazione, sostegno, eliminazione delle barriere architettoniche e cose di questo genere. I tempi sono cambiati? Certamente molto è cambiato ma soprattutto per la tenacia e la forza di tante associazioni che si sono battute per un cambiamento. Ciò che stenta ad affermarsisu larga scala è un no so che di cultura, di buon senso, di conoscenza delle cose, di sane abitudini. Un tempo si agiva un po’ per sincera ignoranza e un po’ per convinzione. Oggi il più delle volte si agisce esclusivamente per ignoranza presuntuosa o, nella migliore delle ipotesi, in virtù di una mediocrità arrogante e dilagante.Ma ritorniamo alla scuola. Tralasciamo di trattare i tanti problemi che comportano i banchi a rotelle costati ben 119 milioni di euro. Soffermiamoci soltanto sul fatto che essi non possono oggettivamente essere usati dagli studenti con una qualche disabilità. Per essi, pertanto, dovrebbero essere messi a disposizione banchi semplicemente normali ma diversi da quelli a rotelle. Questi ultimi, lungi dal garantire il distanziamento anti-Covid, sono l’indice di una situazione diffusa, di un modo di pensare, di una colpevole indifferenza che, priva di ogni desiderio di studio e di impegno, impone di fatto il proprio volere senza neanche la disponibilità all’ascolto e al confronto.Secondo la ministra, “sono stati pensati così perché permettono agli studenti di lavorare in gruppo, di fare lavori nuovi, di avere forme di didattica e di apprendimento diversi”. Ebbene, questa è un’autoaccusa, una grave ammissione di responsabilità ed una confessione che la dice lunga sul substrato culturale di molti governanti. Se queste sedie a rotelle servono alle finalità indicate, allora è lecito pensare che tali finalità siano precluse apriori a quelle persone che, per le loro limitazioni funzionali, non ne possono fare uso. Cade così ogni disquisizione sulla missione inclusiva della scuola, su ogni programma di crescita civile e culturale della collettività senza distinzione di sesso, di razza, di condizione personale, economica e sociale.E’ in questo modo che dalla scuola rischiano di venire esclusi ragazzi e ragazze che per la loro genialità meriterebbero il raggiungimento di mete importanti ma che, per le loro disabilità o deficit fisici e funzionali, vengono di fatto condannati alla peggiore marginalità. La scuola di un paese di grandi tradizioni scientifiche, artistiche e culturali, quale è il nostro, non può continuare su questo sentiero di inarrestabile degrado. Essa deve essere governata sulla base di grandicapacità professionali ed intellettuali sia sul versante delle scelte politiche che da quello della vera e propria attività didattica e programmatica. La genialità, il merito, la cultura devono essere coltivate dalla scuola e nella scuola ma, soprattutto, all’interno della società. Tuttavia, finché quest’ultima non viene formata da una scuola efficiente e rigorosa, seria, democratica , moderna e colta, non è pensabile alcuna crescita civile e culturale di un popolo.La drammatica vicenda di uno dei nostri più grandi scienziati viventi, Fulvio Frisone, pare che non stia insegnando niente a nessuno. La sua unica colpa è quella di essere una persona con gravissime disabilità motorie e sensoriali. Si è fatto strada da solo nella faticosa preparazione scolastica fino al conseguimento della laurea in fisica e matematica.
Ha elaborato studi complessi ed originali nel campo della fusione nucleare, avanzando teorie che hanno destato l’interesse della comunità scientifica internazionale. Conteso dalle più importanti conferenze di fisica, Frisone è vittima dell’ignoranza presuntuosa, del pregiudizio, della paura e di una politica bigotta e provinciale che non è in grado di garantirgli un’assistenza domiciliare decorosa, sufficiente e adeguata alle sue condizioni fisiche e al suo livello scientifico e professionale. Il risultato è che, venendo meno l’aiuto della madre, non è più in grado di spostarsi e neanche di continuare le sue ricerche i cui risvolti potrebbero essere utili a tutta l’umanità, specialmente in tempi di transizione ecologica. La risposta, un po’ ipocrita e un po’ bugiarda, è sempre la stessa: non ci sono i soldi. Ognuno giudichi da sé. Sul problema la stampa tace ma anche un intero popolo tace”.
Antonio Sessa